
Tra il non dimenticare e il ricordare corre un rio sottile dove una barca leggera, senza più vela né remi, va lenta, incerta se una chiusa, presto, le sbarrerà la via o se queste acque avranno sbocco in un più largo fiume. A bordo non un’ombra di pilota. Tutto è rimesso alla grazia del vento. (1)Silvio Ramat
Difficile da contenere in un unico sguardo un’opera così vasta e ricca come quella di Silvio Ramat, poeta, saggista, critico letterario dalla lunghissima carriera, che ha mantenuto nel tempo un ruolo di primo piano nella letteratura contemporanea. Nato a Firenze nel 1939, città mai dimenticata, luogo di giovinezza che avrà nella sua vita valore e sostanza fondamentali, figlio del docente universitario e partigiano italiano Raffaello Ramat, nonché fratello del linguista Paolo, dopo la maturità classica Silvio Ramat si iscrive alla facoltà di Lettere presso l’Università di Firenze, dove avrà come docenti personalità di grande rilievo, figure significative nel suo percorso umano e poetico come Garin, Giuseppe De Robertis, Longhi, Migliorini, Contini, Binni, da quest’ultimo riceve la tesi su Montale, un autore che rimarrà punto di riferimento costante nel corso di una vita. Sono anni fondamentali per il giovane Ramat, l’impatto con la vita culturale della sua città segnerà per sempre lo sguardo del poeta. In una Firenze all’epoca al centro del dibattito e della produzione culturale italiana ed europea, Silvio Ramat entra in contatto con quelli che diventeranno i suoi padri letterari, protagonisti di un periodo importante della poesia italiana del secolo scorso, che viene ricordato come la grande stagione dell’ermetismo. Così scrive Ramat nella raccolta Banchi di prova:
Ho il privilegio di stringer la mano/ uno dopo l’altro a chi serba accesa/ a Firenze una luce di poesia:/ Luzi (rapidamente il prediletto), il vecchio Fallacara e Bigongiari, / Macrì e Betocchi, Parronchi e Traverso,/ Bilenchi e Bonsanti.

Nella Firenze di quegli anni, c’erano anche critici e traduttori come Leone Traverso, Oreste Macrì e altri, citati nella versificazione dei suoi testi. Dopo la laurea Ramat inizia a insegnare nelle scuole superiori, dove rimane fino al 1976, anno in cui gli verrà assegnata la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’università di Padova. Dalla poesia alla saggistica, intanto, la sua produzione continua a sfornare numerose opere e interventi critici che distinguono la sua personalità. Nel cammino di Ramat, il prestigio intellettuale del critico crescerà di pari passo con quello del poeta, è necessario sottolineare questa doppia componente, perché l’esistenza del poeta è caratterizzata dal potenziamento reciproco e dall’interazione di queste due dimensioni.
L’INIZIO DEL SUO LUNGO CAMMINO DI POETA
Come poeta, nel 1959 con il poemetto Le feste della città, pubblicato dalle edizioni della rivista “Quartiere”, comincia il suo lungo tragitto che testimonia una dedizione assoluta al bene della poesia. Inseguendo un ideale di esistenza, fin dall’inizio della sua produzione, Ramat sancisce il valore essenziale della poesia come cifra del mondo, grazie alla quale la realtà si toglie il velo e si lascia conoscere, come si legge nella sezione centrale della sua raccolta Numeri primi:
È vero, non si pasce / unicamente di poesia, un poeta: / ma dove ha il mondo una più viva sémina / che nei solchi della scrittura?
Tra le tante attività svolte dall’uomo, solo la scrittura in versi, secondo Ramat, ha la possibilità di “dare un nome” alle cose e di fermare il tempo, quanto sfugge allo sguardo e si perde nel nulla e nell’oblio. Come scrive Giuseppe Langella: “Non aveva torto Giovanni Raboni quando parlava di poesia continua, di un bisogno fisico da parte di Ramat, di riversare via via in immagini e figure il tumultuoso multiforme susseguirsi delle occasioni esistenziali” (2)

Le raccolte successive: Lo specchio dell’afa (1960-1961), Gli sproni ardenti (1961-1964), Corpo e cosmo (1964-1972), che Ramat dedica al padre scomparso in un tragico incidente, segnano il periodo giovanile della sua produzione poetica, quello più propriamente ermetico, esplicata in moduli ora più narrativi, ora più lirici. Mentre la vita continua a offrire materia di poesia e a convertirsi “in una catena di parole”, affiorano i temi fondamentali della sua poetica, sviluppati di libro in libro nell’arco dei decenni: gli affetti familiari, i luoghi cari, a volte rievocati con una delicata quanto intensa vena malinconica, episodi, abitudini, dubbi, la natura, il sogno come materia di ispirazione, i giochi di parole e le riflessioni sulla propria esperienza di poeta, tra ricordi e ritratti inconfondibili di poeti a lui vicini, sui quali tornerà più volte. Sono gli istanti fatali dell’esistenza, quando in un attimo è possibile afferrare un senso, un rapporto imprevedibile.
L‘ASSOLUTA DEDIZIONE ALLA POESIA
Progressivamente da un’opera all’altra il quadro cambia, prende forma e si intensifica uno sguardo su di sé e sulle cose, sempre più acuto, distaccato, lucido. Refrattario ad ogni egolatria ed autocompiacimento, già a partire dagli Sproni ardenti, incontriamo, infatti, un poeta che ha ormai superato la presa di distanza dal mondo dell’io giovanile e le posizioni più radicali delle prime raccolte, trasformandole nel profilo di un uomo normale fra tanti altri. Si legge in proposito nella raccolta Gli sproni ardenti:
La macchina procede malamente (…) / Firenze da un angolo (…) / pochi simboli rimasti – il più visse / nel vivace contrasto dei primi anni. / Io e te, portiamo una minima vita / da cerchio a farsi ellisse…
Dilatando il proprio orizzonte, nel costruire un’immagine di sé, si attenuano i toni e Silvio Ramat, come scrive Giuseppe Langella, “si attribuisce le debolezze e i difetti dell’uomo comune, viene così spianata la strada a una rappresentazione del poeta che tornerà di libro in libro sostanzialmente invariata.” (3) Dalla quale però il poeta ricaverà, sempre con più forza nei versi, nuove ragioni di poesia, l’unica via di salvezza consentita, perché dove nulla è stabile, nulla è sicuro, non c’è che la poesia a strappare la materia al divenire e a porsi come valore.
I MUTAMENTI STILISTICO-TEMATICI

Così come se volesse riprendere daccapo il suo discorso, ispirato da quel che Montale intendeva filosoficamente: “tendono alla chiarità le cose oscure”, da un’iniziale aderenza ai modi della poesia ermetica fiorentina, a poco a poco il suo linguaggio si evolve nel senso della chiarezza. Tenendo sempre presente la sua ambizione melodica, senza rinnegare la sua fiorentinità e la devozione verso i suoi maestri, Ramat introduce nel suo linguaggio elementi di prosa. E dalle opere successive la sua scrittura tenderà come egli stesso afferma: a “fare entrare l’oggettività, laddove aveva dominato la soggettività”.
Altre raccolte verranno a sancire questa progressiva trasformazione della sua poesia, meno legata ai sommovimenti segreti dell’io che si pone al centro di ogni cosa, più aperta a situazioni e personaggi esterni. In particolare dalla raccolta In parola (1977), che comprende poesie scritte tra il ’73 e il ’75, Ramat comincia a cercare con maggiore convinzione un filo comunicativo, una parola più esplicita, il verso assume andamento discorsivo-narrativo, limpido ma non ovvio, sempre distinguendo il linguaggio quotidiano dal linguaggio proprio della poesia.

Il suo nuovo lavoro di docente all’Università di Padova, l’incontro con i poeti del Nord Italia, da Sereni a Zanzotto, da Raboni a Erba e a Nelo Risi e ad altri, contribuisce a determinare una contaminazione di registri e un ulteriore arricchimento della sua vasta produzione, così come la sua passione per il romanzo che nel tempo lo induce, come più volte dichiara, a scrivere basso e piano, di cose minime e concrete.
L’inclinazione narrativa, era del resto, come sostengono diversi critici, un aspetto radicato nella vocazione poetica di Ramat, che troverà il suo pieno compimento in Mia madre un secolo, un libro in endecasillabi, edito nel 2002, definito dall’autore un racconto in versi. Un libro decisivo, capace di ricondurre lo sguardo a un’intera epoca, che chiarirà ulteriormente la direzione della sua ricerca, sempre protesa a cercare strade nuove e personali. Mia madre un secolo, infatti, rappresenta l’apice della poesia che si fa racconto, una storia considerata dal punto di vista di una “terza persona”, non più del poeta, che ripercorre l’intera parabola biografica della madre centenaria, figura fondamentale nella poetica dell’autore, una donna dalla tempra eroica, in grado di sopportare e combattere con dignità e coraggio le avversità incontrate nella vita. Da questo punto in poi della sua evoluzione, la poesia di Ramat consoliderà ulteriormente quella dimensione più discorsiva e sospinta ai limiti del narrato, cadenzata su di un endecasillabo “povero e pedestre”, come era stato definito dal critico Luigi Baldacci.
LA MEMORIA FONTE INESAURIBILE DI POESIA
In Mia madre un secolo, tra l’altro, come era accaduto nelle precedenti opere, riemerge in forme nuove il mondo poetico di Silvio Ramat, del quale punto centrale è la memoria, termine illuminante del fare del poeta, proprio da essa parte quella costanza di stile e di sguardo di tutta la sua opera, come si legge nella raccolta Il nome al vento:
Ho tanto di quel passato davanti, / da sgranare vivendolo, che il tempo, / certo, non mi sarà abbastanza. Video- / cassette, immensi romanzi. Da empirne / non so quanti giorni, quante nottate. / Ma ormai succede, inevitabilmente / (è strano, o forse no), ch’io li riceva / e li consumi, i doni del passato, / con le lacrime agli occhi…
Solo la memoria, secondo il poeta, può opporre una qualche resistenza all’inarrestabile avanzata del tempo e contrastare l’incubo che il passato venga cancellato per sempre. Sono la mente e l’interiorità a venire fecondate dal recupero della memoria, che per Ramat non nasce soltanto dalla necessità di ritrovare il passato, ma di ritrovarlo per guardare il futuro, non retoricamente, ma con la curiosità che spinge a indovinare qualcosa che è davanti a noi.
A testimoniare l’intensa attività poetica di Ramat, nel 2006 esce il volume Tutte le poesie (1958-2005), che segna un’altra tappa significativa del suo cammino. Si tratta di un’opera di dimensioni considerevoli, nella quale l’autore, dalla raccolta del suo esordio: Le feste di una città a Corpo e cosmo, da Numeri primi a Mia madre un secolo e molte altre, seleziona e riorganizza l’intera sua produzione poetica di quegli anni. E’ il bilancio di una lunga fedeltà letteraria, che in quasi 1500 pagine consente di rivedere nell’insieme una parte importante della sua vicenda di poeta e di cogliere i mutamenti, le riprese, gli sviluppi stilistico-tematici che la sua poesia ha avuto nel corso del tempo.
LA FASE PIU’ RECENTE DELLA POESIA DI RAMAT
Successivamente, nella fase più recente della sua vorticosa, instancabile invenzione letteraria, la scrittura di Ramat raggiunge esiti di particolare forza, ne danno dimostrazione opere come La dirimpettaia e altri affanni (2013), Elis Island. Poesie da un esilio (2015), Banchi di prova (2011) che è un racconto in versi, un modello già sperimentato in Mia madre un secolo, in cui il poeta ricordando gli errori di gioventù, gli imprevisti, gli incontri che aiutano a crescere, con una poesia che a tratti diventa leggera e scherzosa, gioca sulla propria età. E in sessanta “canti” scritti in endecasillabi sciolti che fluiscono con estrema perizia nella costruzione del verso, continua a ripercorrere la sua vita, risalendo ai primi anni della infanzia, da quando nei banchi delle elementari impara a leggere e a scrivere, fino al momento in cui diventa ricercatore universitario.

Ma la poesia di Ramat non finisce di aprirsi ad altre incredibili scoperte. Scritta nel metro di un endecasillabo povero, di cui il poeta è maestro, tra le sue ultime opere la raccolta In cuor vostro ed altri versi, pubblicata nel 2019, è un’ulteriore splendida testimonianza dell’arte del poeta. Trovano qui nuove figurazioni l’incontro tra la vita e l’oltre, ma anche gli altri temi da lui prediletti, sui quali la sua ricerca si è confrontata fin dai suoi esordi: gli affetti familiari, con la rievocazione delle figure mai dimenticate del padre e della madre, le riflessioni sul fare poesia, il tema del tempo che scorre inesorabile e che ci annuncia il termine dell’esistenza, il senso di solitudine e di dolore per i numerosi poeti e amici scomparsi, a cui però a volte si alterna l’inclinazione all’ironia, propria dell’autore, quando ad esempio medita sul proprio viso che tende a riempirsi di “pieghe indelebili”, o quando si diverte a immaginare quale uso nella loro poesia avrebbero fatto del pomodoro e della patata Dante e Petrarca se li avessero conosciuti.
Mentre tutto continua ad affiorare, nella parte centrale di questo libro, con il poemetto In cuor vostro, immaginandosi ormai approdato al di là della vita, in una vita dopo la vita, Ramat indirizza un resoconto ai figli. In questa sua nuova dimora, un luogo di fantasia, imprecisabile, senza confini, che tenta di descrivere, la morte è considerata “un nulla”, soltanto il passaggio in un’altra dimensione che però non spezza i legami d’amore vissuti sulla terra. Passando per continue interrogazioni, al senso della radicale finitezza dell’avventura umana, il poeta contrappone in un’intima e personalissima visione, l’operante comunione di vivi e morti, l’accettazione serena di tutto ciò che l’esistere, nella sua trama e continuità, comporta.
LE CHIAVI DEL GIORNO
Le chiavi del giorno, invece, è il titolo della sua ultima opera in versi, pubblicata nel 2022, che raccoglie poesie scritte fra il 2019 e il 2021. Giunto ormai al pieno di una maturità attestata e riconosciuta da anni, con Le chiavi del giorno Silvio Ramat costruisce un percorso di alta e rara intensità. Guidato dalla memoria dell’infanzia e della giovinezza e dal recupero di una storia familiare con i suoi personaggi, in una Firenze che reca ancora i segni della guerra, fedele al proprio sentire, l’autore nella sua ricerca di chiarezza, riesce a coniugare con trasparenza discorsiva l’elemento autobiografico ai temi di fondo della sua poetica, affrontati nelle precedenti raccolte, alle quali idealmente questo volume si ricollega. In questi versi, che ci offrono un nuovo importante capitolo dell’avventura poetica di Ramat, trova però sempre più posto una intensa meditazione sul destino dell’esistenza, sul tempo che passa, sull’invecchiamento, sull’oltre e sul dopo:

che cosa fu essere giovani e che cosa/ il sentire che non lo siamo più (…) / in che cosa / tuttavia si rimane quali fummo / o tali si ritorna: (…)
Ma anche sul perpetuarsi dell’amore:
Un brusio, un trapestìo cauto e leggero. / I morti indaffarati a far di conto. / Sono i familiari, sono gli amici / grazie ai quali ebbe un senso la tua vita. /Sanno che risarai presto con loro / ma, a chi sta fuori dal tempo, difficile / è calcolare in che giorno accadrà. / Li incoraggia l’amore (…).
In questa continua ricerca delle proprie radici, fatta di scoperte e riscoperte, la parola scava nella realtà, riempie con la sua pienezza il vuoto del mondo. Nella precisione dell’osservazione e della lingua, il poeta è pronto a cogliere il rovesciamento di ogni situazione e ad attribuire significato a ogni dettaglio, che ritorna a vivere nella musica dei versi. Procedendo tra le diverse sezioni che compongono il libro, nel tempo sterminato della memoria, l’autore che non teme di mettersi in gioco, attraversa gli innumerevoli crocevia della propria vita:
cose vissute / cose fantasticate o contemplate / (…) chi le ha godute ne sente il sussurro.
E in ogni testo si delinea il racconto di un pensiero, di vicende fondamentali che suscitano illuminazioni liriche improvvise e rivelatrici di un’esistenza intrecciata di ricordi salienti, radicati e intensi, dalla pluralità di incontri, di cui la memoria ricerca il senso. Gli affetti, le passioni, le letture, lo smarrimento, i desideri, i gesti rituali di ogni giorno, “sparsi testimoni”, dalla vita alla scrittura costituiscono nel loro insieme l’autobiografia da ricomporre.

Da questa prospettiva, a più riprese il libro ritorna poi al nascere della vocazione poetica, mostrandoci altri aspetti del rapporto tra il poeta, la lingua e le cose. Sono diversi i luoghi, i confronti, le citazioni letterarie in cui respira la poesia, rappresentata da coloro che Ramat ha conosciuto e amato: Leopardi, Gatto, Luzi, Parronchi. È tra le loro voci, che risuonano dentro, che l’autore al termine di un lungo cammino, ritroverà intatta la linfa della sua inesauribile creatività.
Lontano da ogni retorica, Silvio Ramat, da sempre impegnato in una incessante ed eterogenea produzione letteraria, con il suo understatement, è uno dei poeti che fa più ricco il mondo che viviamo. Dotato di una rara sapienza poetica, con una scrittura attenta, calibrata, lucida, propone una poesia asciutta, capace di cogliere l’essenziale e di tradurre la lingua poetica oltre il già detto, oltre i confini del linguaggio. Una poesia dell’uomo, della sua esistenza concreta, ma profondamente evocativa, ricca di varietà lessicale e invenzione. Nel nostro presente, ossessionato dai follower, dalla volgarità dei gusti, che non danno la misura di ciò che cerchiamo, i suoi versi, capaci di entrare nelle zone più profonde, fanno della sua voce una traccia di bellezza e consapevolezza di sorprendente attualità.
NOTE
1. Un rio sottile da Le chiavi del giorno, Crocetti (2022)
2. Dal saggio introduttivo di Giuseppe Langella in Tutte le poesie di Silvio Ramat, Interlinea Edizioni (2006) pag. 7
3. Ivi, pag. 19
