TRE GIOVANI DONNE E UNA RIVISTA LETTERARIA DEGLI ANNI SESSANTA: ANGELA GIANNITRAPANI, MARISA DI IORIO E DACIA MARAINI NELLA REDAZIONE DI “TEMPO DI LETTERATURA”
“tempo di letteratura” fu una rivista letteraria fondata da Angela Giannitrapani e Marisa Di Iorio, che vide racchiusa nei quattro numeri,tutti editi fra ’60 e ’61, una riflessione filologica ed insieme politica sulle forme e i destini della letteratura italiana e straniera agli inizi degli anni Sessanta. La rivista esce con il 1° numero nel marzo 1960, pubblicata dalla casa editrice napoletana Pironti, di Napoli. Ha sede redazionale a Viterbo, direttore responsabile ne è Nullo Minissi, orientalista ed esperto di letteratura comparata, docente a Napoli dal 1958 e a lungo Rettore dell’Università Orientale, marito di Angela Giannitrapani. Nell’introduzione al primo numero (non firmata) si dichiarano gli intenti della rivista, che rivendica le radici europee della cultura italiana, proprio nel momento in cui l’Europa esce dalle macerie della distruzione recata dai due conflitti mondiali: “Per undici secoli la cultura è stata “Europea”, ma “La prima metà del nostro secolo ha consumato la distruzione della “Europa”, così che da “mondo” è divenuta una “parte del mondo”. La rivista si propone il fine di “cogliere in concreto gli orientamenti letterari del dopoguerra dal punto di vista della crisi della “Europa”, mentre riconosce il valore sociale della letteratura proprio nel suo essere “l’elemento più importante nella formazione della coscienza”.
La redazione è composta, come si diceva, da Angela Giannitrapani, di origini siciliane (Marsala, 1925 –Viterbo, 2009), studiosa e poi docente di Letteratura angloamericana in varie università italiane (Viterbo e Messina) e straniere (Reading e Los Angeles), che ha all’epoca trentacinque anni, e due scrittrici ventenni che, da Napoli e Palermo si sono trasferite da poco a Roma, e la napoletana Maria Luisa Gambardella (cognome da sposata di Maria Luisa -Marisa- Di Iorio, che fonderà, agli inizi degli anni Ottanta, la casa editrice romana Empirìa). Successivamente, Marisa Di Iorio inviterà a far parte della redazione Dacia Maraini, che ha da poco pubblicato alcuni racconti, tra cui Sotto l’albero carrubo, su “Nuovi Argomenti”. Marisa, che aveva cominciato a lavorare nella redazione di “Nuovi Argomenti”, collaborando a un’indagine sull’edilizia romana1, invita Dacia Maraini a unirsi alla redazione di “tempo di letteratura”. Queste note sono riportate dalla stessa Marisa Di Iorio, allora appena laureata in Filologia romanza, sotto la guida di Salvatore Battaglia, all’Università Federico II di Napoli, nella postfazione di Lettere a Sombre, libro pubblicato postumo dell’amica Angela Giannitrapani, conosciuta proprio in quel Chiostro del Salvatore, sede dell’Istituto di Filologia Romanza2 a Napoli. Anche Sombre, pseudonimo affettuoso con cui Angela chiamava il maestro viterbese Felice Norcia, collabora al primo numero con un intervento poetico.
Nei quattro numeri della rivista, che uscirono fra 1960 e 1961, le collaborazioni risultano aperte a una cultura europea edangloamericana, con contributi che spaziano dalla poesia alla narrativa, alla critica letteraria. Un apporto d’arte è dato fin dall’inizio dalla grafica della copertina, uguale per tutti i numeri, ad opera del pittore concettuale milanese Lucio Pozzi, allora marito di Dacia Maraini. Sul nero di fondo, uno squarcio nella carta lascia intravedere il titolo della rivista, “tempo di letteratura” (scritto tutto in minuscolo) e un piccolo lembo di colore giallo, come un sole che esca da una lunga tenebra. E dalla lunga tenebra del dopoguerra usciva infatti la cultura italiana, negli intenti delle redattrici, che alternano interventi di scrittori e critici accademici a quelli di esordienti e ai propri. Nel 1° numero,il contributo di Giannitrapani e quello dello studioso statunitense Frederick Hoffman sono incentrati sul romanzo americano dopo il 1950, e soprattutto su Faulkner, autore di principale interesse per Angela Giannitrapani, che aveva dedicato proprio allo scrittore americanoun lungo studio pubblicato nel 1959, negli Annali dell’Istituto Universitario Orientale.
La letteratura americana, prodotta da scrittori come Faulkner, Hemingway, Steinbeck e Dos Passos, viene indicata nel lungo saggio come quella che, fra gli anni ’40 e ’50 del Novecento,ha tentato di parlare alle coscienze europee, ridefinendo e ristabilendo i confini spesso violati fra uomo e terra, vitalismo ed equilibrio naturale, con uno sguardo al rapporto etico fra letteratura e storia, rapporto che anche la letteratura italiana ha sempre sentito fortissimo, nascendo educativa e civile e portando all’attenzione del lettore il reale e le sue “degradazioni”, in rapporto al potere e alla storia. Sono gli anni del Neorealismo, nella letteratura e nel cinema. Sul primo numero della rivista appaiono due racconti di tipo neorealista, uno di Giuseppe Bonaviri, Appunti per un diario medico, e uno di Dacia Maraini, Racconto 12, su cui ci soffermeremo. Nel secondo numero la narrativa è affidata al giornalista Nino Longobardi (Torre del Greco, 1925 – Roma, 1996) con un lungo racconto in forma di diario, I giorni della miseria; nel terzo e quarto numero, usciti in un’unica edizione, datata “Estate 1961”, per la narrativa ritroviamo la penna di Dacia Maraini, con il lungo racconto L’esame, Franco Mendico, con una breve prosa dal titolo La fiasca rossa e lo scrittore e giornalista romano Alessandro Silj (Roma, 1935), con un metafisico Racconto. Vengono pubblicati inoltre su tutti e quattro i numeri contributi saggistici di taglio filologico sulla lingua nella narrativa italiana contemporanea, in particolare da parte di Angela Giannitrapani che affronta,ad esempio,il tema della lingua in Carlo Cassola, il quale aveva appena pubblicato il suo romanzo più famoso, La ragazza di Bube (prima pubblicazione, Einaudi, 1960). Salvatore Battaglia, le cui lezioni, seguite da Marisa Di Iorio e da Angela Giannitrapani, che si era laureata in Lettere qualche anno prima di Marisa, erano state l’occasione per la loro conoscenza, compare in veste di collaboratore nel secondo numero della rivista con un denso saggio sul romanzo di Vasco Pratolini, Lo scialo (prima pubblicazione, Mondadori, 1960), nel contributo intitolato Il nuovo romanzo di Pratolini. Sebbene anche la poesia faccia la sua comparsa su “tempo di letteratura“, e alcuni autori, come Sombre, Maraini, Gambardella e Bonaviri, vi compaiano sia in veste di narratori, sia come poeti, e nonostante il secondo numero rechi un corposo inserto di poesia polacca e tedesca, la rivista dedica un’attenzione maggiore alla narrativa, che sembra essere la lingua comune e la coscienza di quegli anni intessuti di neorealismo, immortalati dal cinema, portatori del peso e del clima pesante del dopoguerra.
Sono anni di formazione letteraria per tutte e tre le scrittrici, che vedono l’intrecciarsi di linee di tensione intellettuale che vanno dall’impegno critico nei confronti della società del dopoguerra agli innestidelle varie tendenze del neorealismo e del nuovo romanzo italiano, ma anche all’influsso della narrativa americana. In particolare colpisce il forte stile paratattico del Racconto n.12 di Dacia Maraini, in cui viene disegnata, con rapidità e sicurezza descrittive, la quotidianità di una famiglia borgatara (si parla di un piccolo paese di mare, senza specificare se si tratti di un piccolo comune del litorale romano o della Sicilia) composta da una madre, vedova di guerra, e dai suoi tre figli, Lucrezio, Bebé e la più piccola, d’età indefinita e senza nome, cui è lasciato il punto di vista e il racconto delle vicende. Il tema della povertà, dello sfruttamento sul lavoro, della prostituzione giovanile, dell’esclusione, del sogno negato di affermazione sociale (Lucrezio vuole diventare attore, Bebé si fa corteggiare da uomini ricchi che poi l’abbandoneranno), del desiderio di sicurezza per i figli e di riscatto, da parte della madre, destinati ad infrangersi presto, sono le tappe attraverso cui si snoda la narrazione affidata alla figlia più piccola, quella considerata dai due fratelli un po’ scema, quella che si identifica nella madre, nel suo ottimismo pieno di illusioni, destinato a cadere:
Lucrezio diede un calcio al letto. Infilò le mani nelle tasche, con forza, come se volesse sfondarle. Tirò su dal naso. Sputò in terra. «Porco mondo. Porco, porco porcoporco» urlò sbattendo la testa contro il muro. Il catrame untuoso della notte imbrattò la finestra. Colò appiccicoso fra i buchi del tetto. La casa era sommersa. Il fuoco faticava a drizzare le orecchie. Agitava la coda violetta. Cercai la luna fra gli angoli scalcinati e le croste dei tetti, lì dove si accumulano gli escrementi dei gatti e vi cresce l’erba. Il catrame resinoso l’aveva lordata tutta, come un decotto di liquorizia, l’aveva insudiciata e non se ne scorgeva che un alone labile macchiato di nero3.
Dei vinti di borgata, la cui morte si allarga come profumo di “gelsomini nella sera” attorno alla bambina che sopravvive aggrappata nel letto alla madre, “Fiato nel fiato”:
La mamma mi abbracciava. Voleva che dormissi stretta a lei. Non mi lasciava respirare. Fiato nel fiato. I miei fratelli vivevano, fuori di me in qualche posto, come gelsomini della sera4.
Nel secondo numero, datato “Estate 1960”, il contributo di Maraini è una lunga poesia, dal titolo Ma chi cantare, dedicata al tema degli eccidi di guerra e della morte per odio dei bambini ebrei nei lager nazisti. La poesia canta il bisogno di non dimenticare, di prendere “carta e matita” e testimoniare ciò ch’è stato di inaudito, ora che “la guerra è passata e le case sono tornate a vivere”, e il pericolo è nel non pensare più all’orrore “dei bambini che morivano a chili e puzzavano/ puzzano ancora/ di odio e di gas/ della morte dolciastra di latte/ di anice e disinfettante/ di biscotti e cloroformio”.
Nel terzo e quarto numero, riuniti in un’unica raccolta, la rivista ospita di nuovo un lungo racconto di Dacia Maraini L’esame. Il protagonista, Giovanni, è un adolescente visto nel suo rapporto con la realtà che lo circonda: la famiglia, la scuola, il mondo adulto ancora sconosciuto e la sessualità. Giovanni non è ricco: vive con la madre separata, magliaia, figlia di un contadino anarchico, e con la sorella Lilla, che sta per sposare Peppe, un giovane che presto emigrerà per andare a lavorare in Francia nelle miniere. I suoi compagni sono il Cella, il Coniglio, attraverso i loro occhi scopre l’attrazione per le ragazze, mentre a casa è lui ad essere oggetto di attrazione per una giovane vicina sposata, la signora Mella, con cui consumerà i primi rapporti sessuali. Giovanni viene bocciato e perde un anno di scuola. Durante l’estate, in una Roma infuocata e vuota, decide di provare a superare l’esame di quarta e di quinta liceo insieme. Il nuovo anno scolastico trascorre in modo diverso, Giovanni si chiude in casa in uno studio matto e disperatissimo, ma non trascura di osservare intorno la vita che va avanti: la sorella Lilla si scopre incinta e la sua figura s’ingrossa, presto avrà un bambino. Ma il cambiamento riguarda tutti: Giovanni scopre di amare la storia, lo studio non nozionistico come quello che impartiscono con riluttanza i suoi professori di scuola, ama la storia viva e vorrebbe approfondire ogni argomento, ogni domanda. Scopre che l’italianità, di cui parla il prof. Tarocco “come di una cosa preziosa da conservare”6, invitando i suoi allievi a evitare i romanzi moderni e comunque le “idee che non fossero le sue o del libro di testo”, è qualcosa di lontano dal suo mondo, da Lilla che cambia forma, dal dottore dai gesti untuosi, ma soprattutto dalla sua sensazione di avere “una vita davanti da costruire e la violenta sensazione di non poter comunicare con gli altri”7.
Il racconto o romanzo di formazione, che poi vedrà lo splendido esordio di La vacanza8, è qui condensato e rovesciato rispetto ai suoi precedenti storici: non dunque al cosiddetto romanzo di scuola, si rifà Maraini, a cui si ispirano le opere iniziali di Leonardo Sciascia o di Lucio Mastronardi o di Laudomia Bonanni, gli adolescenti in formazione (Giovanni ne L’esame, Anna ne La vacanza) hanno occhi solo per viaggi all’interno di se stessi e alla scoperta della propria sessualità come qualcosa che è linea di confine, fragile e permeabile, continuamente percorsa e negoziata fra mondo adulto e mondo bambino. Una sessualità indefinita ma potente, tanto nei ragazzi adolescentiquanto negli adulti, dove l’ambiguità risiede nel non tagliare mai il confine con l’erotismo che emana dal corpo bambino, quasi a rasentare l’abisso della pedofilia e l’indistinzione. Tanto Pasolini quanto Nabokov o Morante o Maraini o Sapienza attraversano nei loro romanzi questa indistinzione erotica, la descrivono e ne danno voce, senza condanna o autocompiacimento, proprio negli anni in cui la liberazione sessuale è appena un lontano sentore di rivoluzione e di lotte che giungono dagli USA e che si insinuano timidamente nelle nostre case e nelle scritture contemporanee destinate a restare.
Di questo laboratorio di scritture, incubatoio di presente e di linguaggi, la rivista di tre donne, “tempo di letteratura”, ha saputo dare un piccolo ma vigoroso assaggio, seppure nella sua breve stagione. Stagione da tornare a indagare, per ritrovare oggi l’attualità di quelle stesse domande al nostro tempo e alla nostra letteratura.
Note:
1) Paolo di Paolo, Empirìa, ovvero, la dignità e la ricerca. Intervista a Marisa Di Iorio, www.italialibri.net; altre notizie su Dacia Marini in Nuovi Argomenti in Carol Lazzaro-Weis, Dacia Maraini, in Rinaldina Russel, ItalianWomen Writers. A Bio-Bibliographical Sourcebook, Greenwood Press, Westpoint, Connecticut, London, 1994, pp. 216-217.
2) Angela Giannitrapani, Lettere a Sombre (1956-1964), Introduzione di Felice Norcia, Nota finale di Marisa Di Iorio, a cura di Gabriella Norcia, Roma, Empiria, 2010.
3) Dacia Maraini, Racconto n. 12, in “tempo di letteratura”, n. 1, pp. 26-58; le citazioni sono da pp. 54-55
4) Ibidem, p. 58.
5) Dacia Maraini, Ma chi cantare, in “tempo di letteratura”, n. 2, pp. 54-59.
6) Dacia Maraini, L’esame, in “tempo di letteratura”, n. 3-4, estate 1961, pp. 117- 178, la citazione è presa da p. 143.
7) Ivi, p. 132.
8) Dacia Maraini, La vacanza, prefazione di Alberto Moravia, Milano, Lerici, 1962.
LOREDANA MAGAZZENI vive a Bologna e dal 1998 fa parte della redazione della rivista “Le Voci della Luna” e del Gruppo ’98 di Poesia. Ha pubblicato poesia (La miracolosa ferita, Canto alle madri e altri canti, Fragilità del bene, Volevo essere Jeanne Hébuterne), curato antologie e traduzioni di poesia (con F. Mormile, B. Porster e A. M. Robustelli La tesa fune rossa dell’amore. Madri e figlie nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese, 2015, La Vita Felice), saggi e articoli su letteratura e storia delle donne.