
Agli inizi degli anni sessanta, parallelamente alla sua attività letteraria, Roberto Roversi si confronta con la scrittura cinematografica. Il suo incontro col cinema avviene nel segno di una produzione indipendente e nelle forme meno ufficiali e sperimentali del documentario, collaborando alla stesura del testo, nel 1961, di La ‘menzogna’ di Marzabotto, ideato dall’allora esordiente e conterraneo Carlo Di Carlo. Col giovane regista, futuro assistente di Pier Paolo Pasolini, oltre che collaboratore di Michelangelo Antonioni, Roversi stringe una proficua e duratura collaborazione. E’ dell’anno successivo, difatti, la consulenza artistica per Terre morte (10’) e Isola di Varano (10’), sulla mancanza di servizi e lo stato di isolamento in cui versano gli abitanti nella penisola del Gargano, rispettivamente dei pochi residenti tra San Marco e San Nicandro e dei pescatori sul lago di Varano. A seguire, nel 1963, Vivere con la bomba è il cortometraggio in cui le immagini accompagnano i versi de La bomba di Hiroshima di Roversi, letti da Giancarlo Sbragia. Quattro anni più tardi, scrive il testo per Fossoli, prodotto dal Comitato per l’erezione del Museo monumento al deportato politico e razziale di Carpi – Carlo Di Carlo aveva già realizzato due anni prima Terezin, sul famigerato campo di concentramento definito da Hitler, il “ghetto modello” –. Sempre per Di Carlo, compone il commento per il documentario sul capoluogo emiliano, Bologna (1975), letto da Stefano Satta Flores. Il film è strutturato in quattro argomenti, l’assetto urbanistico e il centro storico, lo sviluppo economico, il quartiere e i servizi sociali, per concludersi nel cuore della città, in una piazza Maggiore gremita, che manifesta contro la brutalità dell’attentato di stampo fascista dell’Italicus. Tre i lungometraggi di finzione nei quali Roversi si cimenta, Non si scrive sui muri a Milano (1975), per la regia di Raffaele Maiello, collaborando a più mani alla sceneggiatura; Disamistade, l’opera prima di Gianfranco Cabiddu (1988), ambientato nella Sardegna degli anni cinquanta, insieme a Claudio Lolli; e ancora, nello stesso anno, Il frullo del passero, che scrive al fianco di Gianfranco Mingozzi, regista del film e di Tonino Guerra, autore del racconto, Il polverone da cui è tratta la pellicola. Roversi torna a scrivere sulla città felsinea per il documentario Amo Bologna (1987), prodotto da RAI 3, che conduce lo spettatore per le vie della città, in compagnia di Guccini.Nel 1997 Sguardi dal fiume diretto da Francesco Conversano e Nene Grignaffini, è un viaggiolungo il Po, sulle tracce della cultura e dell’arte della pianura padana, nello splendore delle corti e dei ducati dei Gonzaga, degli Estensi, dei Farnese, degli Scaligeri, dei Visconti, accompagnato dalle parole e dalla voce del poeta.Tornerà a collaborare coi due registi della casa di produzione bolognese “Movie Movie” sei anni più tardi, per Bologna e Bologna (2003). Il documentario è parte del progetto editoriale Via Emilia, composto da quattro film dedicati all’Emilia-Romagna. Nel frattempo, Roversi riprende a lavorare con Carlo Di Carlo, il quale, trasferitosi a Roma, oltre ad avere curato le edizioni italiane di importanti opere filmiche, come Heimat di Reitz e Il Decalogo di Kieslowski, e ad essere autore di importanti saggi sul cinema, ha maturato una filmografia ragguardevole. L’occasione è data dal cinquantesimo anniversario della strage di Marzabotto, e del grande evento che fa del comprensorio naturale dell’Appennino emiliano di Monte Sole, un Parco Storico, per mantenere viva la memoria. Per la stesura del commento di Un film per Monte Sole. L’uomo la terra la memoria (1995) Carlo Di Carlo si affida, ancora una volta, alla scrittura di Roversi, già autore del testo de La ’menzogna’ di Marzabotto, trentaquattro anni prima, al quale il nuovo documentario fa esplicito riferimento, citandone frammenti significativi.

LA “MENZOGNA” DI MARZABOTTO
Ci preme soffermarci su quel primo film, La ‘menzogna’ di Marzabotto, ideato e realizzato da Carlo Di Carlo, cortometraggio che faceva luce su una delle più grandi stragi nazifasciste dell’Europa Occidentale, tema sul quale il regista tornerà anche negli anni ottanta (Marzabotto, 1984) e sulle motivazioni che lo hanno indotto a girarlo. Un film il cui merito, come è stato dichiarato, è l’aver trasformato “l’indignazione politica in un documentario di alta tensione etica, essenzialità e rigore formale. ‘Una lezione di storia e di cinema’”. La strage di Marzabotto, dal nome del comune a cui appartiene la parte più considerevole della zona, o, più correttamente, l’eccidio di Monte Sole, è un insieme di stragi compiute nel territorio – lungo i crinali appenninici che dalla Porrettana arrivano alla Futa – nei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, comprendenti le pendici di Monte Sole, compiute tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.Nel settembre del 1944, un’ordinanza del Feldmaresciallo Kesselring, invita la popolazione a reprimere i tentativi dei “banditi” che “annientano ogni valore culturale dell’occidente, della religione, e conseguentemente del patrimonio spirituale di ogni persona retta”. Le truppe naziste, guidate da Walter Reder, accerchiano gli abitanti di quelle vallate, assaltando case, chiese e scuole, mettendole a ferro e fuoco. Un eccidio che durò sei giorni, dove le vittime, perlopiù donne, bambini e anziani, furono barbaramente massacrate. All’inizio del 1961 esce in Germania un libello neonazista di Lothar Greil: Die Lüge von Marzabotto (La menzogna di Marzabotto), che nega la strage. 1830 morti cancellati d’un colpo, Walter Reder, soprannominato la “jena di Marzabotto”, il responsabile del massacro di centinaia di innocenti, viene definito un “eroe”, un “soldato” che ha compiuto il suo dovere. Questo libello diviene ben presto un caso, come è lo stesso Carlo Di Carlo a ricordare nel corso di un’intervista, costituendo forse anche l’elemento scatenante per la realizzazione del film, il regista riesce a trovare un produttore disposto a finanziarlo in tempi brevi. Del resto, Di Carlo si stava già documentando sull’argomento, aveva letto Marzabotto parla di Renato Giorgi, e si era recato a Marzabotto dove era stato inaugurato il Sacrario ai Caduti. Renzo Renzi (1) gli suggerisce il titolo del film, ovvero di riprendere quello del libello infamante mettendo, però, tra virgolette, la parola menzogna, La ‘menzogna’ di Marzabotto. Un documentario che ben presto ottiene un “esito da film”, per via di un argomento che era su tutte le pagine dei giornali. Il divieto ai minori di 18 anni, attribuito dalla Commissione per la revisione cinematografica e quindi il mancato nulla osta da parte del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, ovvero la mancata ammissione alla programmazione obbligatoria nei circuiti cinematografici – in linea con la censura politica dei tempi, che aveva negato il visto a numerose opere –, suscita un caso nel caso. Ed è così che La ‘menzogna’ di Marzabotto comincia a girare per tutta Italia e ad essere visto molto più di quello che sarebbe stato possibile, rispetto ad una sua distribuzione nelle sale. Riportiamo quanto scrive il critico Mino Argentieri su “Nuova generazione”: “All’elenco dei cortometraggi sulla Resistenza ora si aggiunge La Menzogna di Marzabotto, un film girato a tamburo battente, dietro l’immediata spinta di un avvenimento clamoroso (…) Sullo sfrontato documento edito in Germania si sono soffermati a lungo i giornali; era pertanto inevitabile che anche il cinema si occupasse della faccenda, intervenendo, questa volta, con una tempestività degna delle migliori consuetudini giornalistiche (…) Punto per punto, capitolo per capitolo, le bugie tedesche sono confutate, senza sfociare in una polemica infervorata ma lasciando parlare i fatti in tutta la loro nuda e drammatica evidenza e cercando di risuscitare, per via di suggestione, il clima del barbaro episodio bellico.” (2) Dopo i clamori ottenuti dalla diffusione de La ‘menzogna’ di Marzabotto, nel riportare all’attenzione pubblica la ferocia e la barbarie di quella tragica pagina di storia italiana, la verità e la ricerca dei colpevoli furono a lungo accantonate. A Walter Reder, condannato all’ergastolo, nel 1980 viene concessa la libertà condizionale con cinque anni di internamento al carcere di Gaeta. L’esecutivo Craxi, nel gennaio1985, indifferente alle proteste dei famigliari delle vittime, ne decide il rimpatrio anticipato. L’anno successivo Reder ritratta la richiesta di perdono avanzata nel 1964 agli abitanti di Marzabotto. Per più di trent’anni, dal 1960 al 1994 sono stati intenzionalmente occultati nell’’armadio della vergogna’ (situato a Roma, nel Palazzo Cesi-Gaddi), 695 dossier e un registro generale di duemila e oltre notizie di reato, raccolte dalla Procura generale del Tribunale Supremo Militare, relativi a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante la guerra (1943-1945) dalle truppe nazifasciste. Da allora, quella documentazione è stata riesumata e si sono rese possibili nuove istruttorie. Dopo 62 anni dalla strage, a La Spezia nel 2006 si riapriva il processo, in contumacia, conclusosi con la sentenza del 13 gennaio 2007 di 10 ergastoli a ex militari tedeschi SS. (3)
Letto da Nando Gazzolo, il testo di La ‘menzogna’ di Marzabotto Carlo Di Carlo è stato composto da Roberto Roversi, di cui qui di seguito riportiamo alcuni brani.

Die Lüge von Marzabotto
Verde, con due strisce rosse, il libro pubblicato in Germania è un cane che ringhia e s’avventa contro l’ombra di gente impiccata, fucilata o soltanto offesa.
Racconteremo noi questa storia, non di guerra, come vorrebbe Lothar Greil, ma soltanto crudele, da impallidire il ricordo delle sciagure antiche.
Nella vallata del Reno, che ha l’acqua colore del ferro, a pochi chilometri da Bologna, tra monti strappati dai calanchi o carichi di alberi, c’è Marzabotto (…)
bastano tre casolari sperduti, a formare una comunità civile e silenziosa. Uomini dalle rughe scavate, donne con molta pazienza, vecchie dal fazzoletto nero, con il cuore dentro alla casa.
1944: il più lungo, freddo, sanguinante anno di guerra. Gli alleati avanzano, i tedeschi si aggrappano all’erba, a ogni spino, ai sassi. Un giorno, sporco come una macchia di creta, inchiodano sul muro il manifesto di Kesserling.
Dentro le grotte, nelle caverne, tra i boschi di Monte Sole, Monte Venere, Monte Abelle, Caprara, Salvaro, vivono e combattono gli uomini della Stella Rossa. I ricordi tornano dalla memoria che li conserva dentro al suo pugno chiuso. Monte Sole è il loro quartier generale: un picco che diventa un faro e un osservatorio prezioso. Di lì vedono il corso lungo il Reno, poi la pianura padana, gialla di nebbia, piena di armati, di dolore. La zona è dura, c’è sempre vento; la terra non lascia riposare, arrugginisce la carne.
Sporchi, magri, con gli occhi bruciati dall’insonnia, i partigiani appaiono nelle loro divise strane, improvvisate. Il capo, già leggenda per i monti dell’Emilia, è Mario Musolesi, il Lupo. (…)
All’alba, il 16° Battaglione S.S., al comando del Maggiore Walter Reder, inizia e compie la strage, in tre giorni, dal 29 settembre al 1°ottobre. Sulla carta, stretti fra piccoli segni neri, sono i luoghi da mettere a ferro e fuoco secondo le tradizioni di un’antica barbarie.
Non ci fu pietà, scampo per nessuno. Sempre la guerra produce odio e ha nel fuoco e nella morte il suo volgare, straziante, implacabile destino.
Pioppe, Creda, Roncadelli, Castellino, Cerpiano, Caprara, S. Martino, Cadotto, Colulla, Abelle, Sperticano, Ca’ Beguzzi, Steccola, Tagliadazza, S. Giovanni, Prunaro: 1830 morti.
Gli assassini di Reder distruggono , lacerano, infiammano e lasciano i poveri corpi distesi per terra, le membra aperte, in un bagno di sangue che lava quella vendetta. Tutti morti (…)
A Casaglia il portone della chiesa è sfondato.
C’è ancora l’ombra di Don Marchioni e dei suoi morti, in questa chiesa spaccata dalle bombe, ferita come una cosa viva.
Intorno al sacerdote che prega, fermo, con voce paziente, si stringono profughi, contadini dei dintorni, intere famiglie (…)
La guerra è finita. Anni sono passati. Walter Reder, pallido, subisce il processo.
Con la volontà di una belva, cerca la salvezza e inventa scuse che gelano. Le parole cadono in terra come sassi.
A Marzabotto ogni famiglia aveva il suo cimitero nel campo, vicino alla casa. Ma gli uccisi hanno adesso una tomba, poi un ossario che li onora, e possono ricordare ai vivi l’orrore di quei fuochi, il volto dell’assassino.
Sabbioni Otello anni tredici, Sabbioni Adriano anni dieci, Sabbioni Giovanna anni sette, Sabbioni Irene anni cinque, Sabbioni Bruna anni due, Sabbioni Desiderio anni settantatre, Sabbioni Gaetano anni trentotto.
E ancora: Tonelli Giuseppe anni quindici, Tonelli Alfredo anni quattordici, Tonelli Benito anni quattordici, Tonelli Argentina anni dodici, Tonelli Maria anni dieci, Tonelli Vittorio anni otto, Tonelli Giovanna anni sei, Tonelli Albertino anni tre, Tonelli Bruno anni uno, Tonelli Mario anni trentaquattro. Fossa comune di S. Martino, Fossa comune di Caprara, Fossa comune di Casaglia, Fossa comune di Quercia.
Bertocchi Amalia anni novantadue, Laffi Giovanni giorni ventotto.
La guerra è finita.
I criminali si avviano a pagare una piccola pena per così grandi delitti.
Reder può anche simulare un compiacimento appena percettibile, per avere sfuggito la morte (…)
I morti vivono dentro a chi li ricorda e non li lascia morire, a chi li ricorda non con un lamento, ma stringendo le labbra, solo per ammonire.
I morti di Marzabotto sono i morti di Lidice, Oradour, Auschwitz, Varsavia.
Il loro grido è la nostra voce di oggi.
(*) Si ringrazia Anna Fiaccarini, responsabile Biblioteca Renzo Renzi e archivi extra filmici della Cineteca di Bologna per la gentile concessione delle foto provenienti dall’Archivio Carlo Di Carlo.
Note:
- Oltre che regista, è stato critico cinematografico, scrittore, ideatore della celebre collana editoriale Dal soggetto al film, divulgatore e organizzatore culturale e tra i fondatori della Cineteca di Bologna.
- in “Nuova generazione”, 9 gennaio 1961.
- Per approfondire l’argomento, si veda il documentario Lo stato di eccezione. Processo per Monte Sole 62 anni dopo di Germano Maccioni, 2008.
