
Né allemand, je suis devenu français puis américain: rêveur, je me suis fait homme d’action; mélancolique, le marathon m’a converti à la joie…Je n’ai jamais été là où l’on m’attendait. Et pourtant, jamais je n’ai eu l’impression de me perdre. L’identité, au contraire de la virginité, ne se perds pas: elle s’acquiert. Quelles qu’en aient été les formes successives, je n’ai jamais cessé de sentir en moi quelque chose d’unchangé, voire d’incorrigible. Un souffle, un je-ne-sais-quoi qui veut vivre et qui m’anime. Peut-être est-ce l’âme, cette vieille lune…ou le coeur qui va, tambour battant? (*)
Volker Schlöndorff

Regista, sceneggiatore, produttore e attore, Volker Schlöndorff è tra le figure più significative del cinema tedesco del dopoguerra, e vanta una ricca e variegata filmografia. Figlio di un medico, nasce a Wiesbaden nel 1939, a cinque anni perde la madre a causa di un incidente domestico. Da ragazzino, col lavoro di caddy nel campo da golf degli Americani – nella “Little America” creatasi nella zona di occupazione americana della Germania di cui Wiesbaden fa parte -, acquista un apparecchio fotografico. La fotografia, oltre alla lettura, diviene il suo hobby preferito. Impregnato di cultura americana ascolta il jazz, frequenta l’Amerika-Haus dove può leggere Hemingway, Faulkner, successivamente Sartre, avvicinandosi all’esistenzialismo. Al liceo dirige un giornale studentesco. Nel 1956 va in Francia per apprendere la lingua, va a studiare in un collegio dei gesuiti in Bretagna, l’esperienza dovrebbe durare due mesi, ma in territorio francese rimane dieci anni.
A Parigi, frequenta il prestigioso Lycée Henri IV, ha come compagno di classe Bertrand Tavernier, con cui condivide l’interesse per il cinema, con lui frequenta le sale del Quartiere Latino e la Cinémathèque Française. Si laurea in Scienze politiche e dopo aver frequentato l’IDHEC (Institut des hautes études cinématographiques) inizia a lavorare come assistente alla regia in alcune delle opere più importanti del cinema francese dell’epoca,da L’anno scorso a Marienbad (1961) di Alain Resnais, a Fuoco fatuo (1963) di Louis Malle, a Lo spione (1963) di Jean-Pierre Melville, suo ispiratore e maestro spirituale.

Dopo la sua prima prova cinematografica, realizzata nel 1960 con l’aiuto di Bertrand Tavernier, Wen kümmert’s? (t.l. A chi interessa?), un cortometraggio di 12 minuti, su immigrati a Francoforte, in cui mostra la giornata di due partigiani algerini assassinati da un gruppo di nazisti, vietato dalla censura tedesca e rimasto inedito (1), nel 1965 rientra in Germania e grazie all’esperienza maturata collaborando con importanti registi francesi, che lo differenzia dai giovani registi dello Junger Deutscher Film (Nuovo Cinema Tedesco), esordisce con I turbamenti del giovane Törless (Der junge Törless) nel ’66, il suo primo lungometraggio, tratto dall’omonimo romanzo di Robert Musil, una storia di formazione ambientata negli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra. Il film riscuote un grande successo internazionale e ottiene numerosi riconoscimenti in importanti festival, fra cui il Premio Fipresci al diciannovesimo Festival di Cannes. Seguono Vivi, ma non uccidere (1967, Mord und Totschlag) un racconto generazionale, omaggio a Melville, e La spietata legge del ribelle (1969, Michael Kohlhaas ‒ Der Rebell) dalla novella di Heinrich von Kleist, attualizzata, riguardante la rivolta studentesca di quegli anni, Baal (1970) da Bertolt Brecht, che ha per tema la ribellione ed è espressione dello spirito antiautoritario del Sessantotto, interpretato dall’amico Rainer Werner Fassbinder.

Baal è anche la prima opera di Schlöndorff prodotta dalla Hallelujah-Film, la società da lui creata nel 1969 con Peter Fleischmann, cui si aggiunse nel 1974 la Bioskop-Film, fondata con Reinhard Hauff ed Eberhard Junkersdorf, case di produzione con cui il regista realizza la maggioranza dei suoi film. Segue L’improvvisa ricchezza della povera gente di Kombach (1971, Der plötzliche Reichtum der armen Leute von Kombach), come Baal prodotto per la TV. Die Moral der Ruth Halbfass (1972) e Fuoco di paglia (1972, Strohfeuer) sono due intensi ritratti femminili dove è riconoscibile l’influenza

della moglie, l’attrice e poi regista Margarethe von Trotta, sposata nel 1969, con la quale nel 1975 collaborerà in due film politici di ispirazione letteraria, Il caso Katharina Blum (1975, Die verlorene Ehre der Katharina Blum), che riflette la situazione politica tedesca degli anni settanta, segnata dal terrorismo, tratto dal romanzo breve di Heinrich Böll e co-diretto dalla von Trotta, e Il colpo di grazia (1976, Der Fangschuss) dal romanzo di Marguerite Yourcenar, con la von Trotta, invece, nel ruolo di attrice protagonista, insieme ad Alexander Kluge, che mostra l’attenzione del regista verso il tema dell’emancipazione femminile.



Successivamente prende parte con suoi episodi a film collettivi, con cui gli autori della Bundesrepublik Deutschland (Repubblica Federale Tedesca) intendevano reagire alla situazione politica del Paese e di cui Germania in autunno (1978, Deutschland im Herbst) resta il modello più riuscito. Nel 1979 Schlöndorff gira una delle sue opere più conosciute, Il tamburo di latta (Die Blechtrommel), adattamento del celebre romanzo di Günter Grass, che ottiene un ottimo successo di pubblico, film col quale raggiunge il culmine della sua carriera e prestigiosi riconoscimenti internazionali, dalla Palma d’oro al trentaduesimo Festival di Cannes ’79 (ex aequo con Apocalypse Now di F.F. Coppola) ad un Oscar nel 1980 per il miglior film straniero. Segue L’inganno (1981, Die Fälschung), ambientato nel Libano sconvolto dalla guerra civile con Bruno Ganz, poi Un amore di Swann (1984, Un amour de Swann).

Il successo gli apre le porte degli Stati Uniti, dove dal cinema d’autore passa alle grandi produzioni e lavora con star, realizzando un adattamento dal dramma di Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore (1985, Death of a salesman) con Dustin Hoffman e John Malkovich, poi Tutti colpevoli (1987, A Gathering of Old Men) con Holly Hunter, opera in cui la spettacolarità si coniuga con l’impegno antirazzista. E Il racconto dell’ancella (1989, The Handmaid’s Tale), dal romanzo di Margaret Atwood con Natasha Richardson. Film che pur muovendosi fra generi diversi riflettono tensioni e conflitti della realtà contemporanea.
Negli anni novanta, rientrato nella Repubblica Federale Tedesca, Schlöndorff accetta la direzione dello Studio Babelsberg(2), per riportarlo ai fasti degli anni d’oro dell’UFA (3), realizzando poi film diversi fra loro, come Voyager -Passioni violente (1991, The voyager), tratto dal romanzo Homo Faber di Max Frisch, e L’orco -The ogre (1996, Der Unhold), da Il re degli Ontani di Michel Tournier.
Nel 1992 è autore di un grande omaggio-intervista a Billy Wilder, il maestro della commedia americana, Billy, ma come hai fatto? (co-regia Gisella Grischow), documentario straordinario, in cui viene ritratto il regista ebreo galiziano, emigrato negli Stati Uniti con l’avvento del nazismo. (In seguito, nel 2006, tornerà sull’argomento con Billy Wilder Speaks)

All’inizio del duemila, con Il silenzio dopo lo sparo (2000, Die Stille nach dem Schuss) affronta un tema a lui congeniale, quello degli “anni di piombo”, poi gira film in parte non distribuiti in Italia: Strajk – Die Heldin von Danzig (t.l. L’eroina di Danzica, 2006), in cui si racconta, attraverso un personaggio femminile, un’operaia che lavora nei cantieri Lenin, nei primi anni Ottanta, la nascita di Solidarność – il sindacato autonomo dei lavoratori polacchi, nella Polonia comunista. Nel 2011 firma La mer à l’aube (t.l. Il mare all’alba), su un drammatico caso di rappresaglia nazista nella Francia occupata, e successivamente Diplomacy – Una notte per salvare Parigi (2014, Diplomatie), tratto dall’omonima pièce di Cyril Gely, che insieme al regista ha lavorato all’adattamento cinematografico.
Return To Montauk, del 2017, presentato alla sessantasettesima edizione del Festival di Berlino in concorso, è una struggente storia d’amore ispirata dallo splendido racconto Montauk (1975) del narratore svizzero Max Frisch, interpretato da Stellan Skarsgård e Nina Hoss.
Schlöndorff alterna al lavoro di regista cinematografico quello di regista teatrale e di opere liriche, per le quali nutre una grande passione.

Neuer Deutcher Film, la generazione della colpa contro l’eredità del passato
Esponente di punta del Neuer Deutscher Film e prima ancora Junger Deutscher Film, Nuovo cinema tedesco, gruppo di giovani registi che all’inizio degli anni sessanta avverte la crisi del cinema tedesco e l’esigenza di un nuovo cinema, libero da condizionamenti commerciali, culturali ed estetici (4), tra tutti i registi del rinnovamento della cinematografia tedesca legati all’impegno civile e a uno stile realistico, si afferma per risultati, continuità e riconoscimenti internazionali. Formatosi negli anni della Nouvelle vague francese, porta nel cinema d’autore tedesco, complessivamente colto, problematico verso la realtà e non di rado provocatorio, opere in cui allo sguardo storico-politico si unisce, insieme alla grande capacità di direzione degli attori, l’abilità di adattare sullo schermo testi letterari. Il suo cinema, che affronta autori fondamentali della letteratura tedesca ed europea del Novecento, è un cinema narrativo di vasta comunicazione contraddistinto infatti da un’impronta fortemente letteraria.
Per cogliere appieno la figura e il percorso artistico di Schlöndorff, è inevitabile una contestualizzazione storica. Per una generazione di registi cinematografici nati e cresciuti negli anni del nazismo, in un dopoguerra sconfitto, diviso e distrutto, il cinema è stato lo specchio di una coscienza storicaprima che artistica, di riflessione critica prima che estetica.

Come ha scritto Pierre-Henri Gibert, autore del documentario Volker Schlöndorff. Tambour battant (5), definendolo “il più europeo dei registi tedeschi”, “La vita e il destino di Schlöndorff pongono con straordinaria acutezza l’ardua questione dell’identità…Volker Schlöndorff fa parte della generazione di tedeschi che sono stati marchiati dalla colpa, che sono diventati adulti con la vergogna di provenire dal paese dei nazisti.” Affermando inoltre che “ha abbracciato come pochi artisti la storia del suo paese, esplorandone le zone oscure alla ricerca delle radici del male e del degrado, documentando attraverso la finzione le lacune della storia nazionale contemporanea…”(6)
È soprattutto confrontandosi col resto d’Europa, in particolare con la vicina Francia, che emerge la consapevolezza della propria identità nazionale, il dover fare i conti con l’eredità nazista.

La scoperta delle atrocità naziste ed in particolare dei campi di concentramento, avviene per la prima volta con la proiezione di Notte e nebbia, a ricordarlo è lo stesso Schlöndorff nel suo memoir Tambour battant (7) (da cui Gibert trae il titolo del suo documentario, dedicato al regista), quando, ancora a Vannes, in Bretagna, insieme ad altri studenti del collegio vede la pellicola di Alain Resnais. Sconvolto da quelle immagini di cadaveri di uomini, donne, bambini, e dagli sguardi dei compagni di scuola, quando si riaccesero le luci, “com’era potuto succedere?” (“Au fond de moi-meme je n’ai jamais réglé le problème et prèsques tous mes films de Törless au Neuvième Jour, cherchent encore la réponse à cette question soulevé par Nuit et brouillard / Dentro di me non ho mai risolto il problema e quasi tutti i miei film da Törless al Neuvième Jour cercano ancora la risposta alla domanda sollevata da Notte e nebbia”). Anni più tardi, a Hollywood, Schlöndorff apprende da Billy Wilder da dove quelle immagini sconvolgenti provenissero. Erano state girate da cameraman alleati una volta liberati i campi di concentramento, immagini in cui la stessa popolazione tedesca, accompagnata perché prendesse visione di quanto era accaduto, veniva filmata per testimoniare la veridicità delle riprese, per testimoniare le reazioni che quella vista suscitava nei civili tedeschi, temendo che non si credesse a quell’inconcepibile orrore, o che qualcuno potesse dire che si trattava di una messinscena. Wilder era uno dei cameraman e fu poi incaricato del montaggio, il film si chiamò Les Moulins de la mort, fu organizzata una proiezione a Würzburg. Materiali che poi sparirono in qualche archivio, che Resnais visionò dieci anni più tardi per preparare il suo documentario.(8)

Se ne I turbamenti del giovane Törless (‘65) attualizza l’omonimo romanzo di Musil ponendo in luce il degrado morale di una classe dominante e l’autoritarismo della Germania guglielmina prossima al nazismo, ne Il tamburo di latta (‘79) attraverso il protagonista Oskar, lo sguardo è rivolto alla nascita del Nazionalsocialismo e agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Sempre la storia tedesca, e in particolare il reclutamento di ragazzini per la Gioventù Hitleriana e la tragedia della pratica concentrazionaria e dello sterminio, sono al centro di L’orco – The ogre (1966, Der Unhold) e Der Neunte Tag (2004, t.l. Il nono giorno), quest’ultimo inedito in Italia. In La mer à l’aube (2011) è raccontato un episodio dell’occupazione tedesca in Francia di cui lo scrittore Ernst Jünger è stato testimone anche letterario. Il film affronta un periodo storico che i francesi non hanno mai affrontato con la dovuta autocritica, sul regime collaborazionista di Vichy governato dal Maresciallo Pétain.

In Diplomacy – Una notte per salvare Parigi (2014, Diplomatie) incombe per tutto il film la minaccia di Hitler di distruggere la capitale francese. Affrontando un capitolo di storia relativamente poco conosciuto, che ha per protagonisti il generale Dietrich von Choltitz, governatore tedesco della città di Parigi e Raoul Nordling, console norvegese che lo convincerà ad arrendersi, il film con destrezza mostra la contrapposizione tra la fede militare incrollabile del generale tedesco eroso dal dubbio e il coraggio del diplomatico norvegese, disposto a tutto per scongiurare la distruzione della ville Lumière.

NOTE:
(*) “Nato tedesco, sono divenuto francese poi americano; sognatore, sono divenuto uomo d’azione; melancolico, la maratona mi ha convertito alla gioia…Non sono mai stato là dove mi si attendeva. Eppure, non ho mai avuto l’impressione di perdermi. L’identità, al contrario della verginità, non si perde; la si acquisisce. Quali che siano state le forme successive, non ho mai smesso di sentire in me qualcosa di immutato, ovvero di incorreggibile. Un soffio, un non so bene cosa che vuol vivere e che mi anima. Può forse trattarsi dell’anima, questa vecchia luna…o è il cuore che pulsa a tamburo battente?”
- Dedicato a Fritz Lang, il cortometraggio è, come è stato osservato,“Une partie de campagne (di Renoir) con la secchezza di Lang”.
- Lo Studio Babelsberg è un circuito di teatri di posa, sale per le riprese e studi cinematografici, situato nel quartiere Babelsberg a Postdam, appena fuori Berlino.
- Casa di produzione e distribuzione tedesca, fondata a Berlino nel dicembre 1917, attiva fino al 1945. È stata la più grande azienda cinematografica tedesca la cui politica di acquisizioni, con la fusione della Decla-Bioskop, comprendeva, oltre ai teatri di posa di Babelsberg, anche le sale dell’UFA Palast. Sotto la direzione di Erich Pommer, nel periodo della Repubblica di Weimar, la Ufa produsse alcune tra le pellicole più importanti di autori come Lang, Murnau e successivamente di von Sternberg e von Stroheim. Sull’onda del processo di “arianizzazione” la Ufa rescisse il contratto con Pommer nel 1933.
- Sul Nuovo Cinema Tedesco vedi L’universo di Margarethe von Trotta nel n. X di “Primi Piani”.
- Il documentario di 52 minuti è stato realizzato nel 2020.
- Pierre-Henri Gibert, nel catalogo de Il Cinema Ritrovato, edizione 2020. Cfr Cinétévé.
- Nel 2009 Schlöndorff è autore di un memoir, Tambour Battant in cui raccoglie i suoi ricordi dall’infanzia, le prime letture, gli anni al liceo, il suo ingresso nell’universo della settima arte, le sue regie e gli incontri con personalità artistiche che ne hanno segnato il percorso, edito da Flammarion.
- Il film Les Moulins de la mort di Wilder non è l’unico film sulla realtà dei campi di concentramento, anche Hitchcock fu incaricato di realizzare Memory of the camps, vedi Edith Bruck sopravvissuta all’orrore della Shoah di Anna Albertano nel numero XIX di “Primi Piani”.
Abbiamo incontrato Volker Schlöndorff a Bologna in occasione della trentacinquesima edizione del Cinema Ritrovato (20-27 luglio 2021)
