CONVERSAZIONE CON LUCIA BOSÈ di Luisa Ceretto

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Poco prima di partecipare al concorso di “Miss Italia”, nel 1947, ebbe l’occasione di incontrare una figura che avrebbe avuto un peso determinante nel suo percorso artistico, Luchino Visconti. Cosa ci può dire al riguardo?

Avevo sedici anni, entrarono lui e il regista Giorgio De Lullo (attore e regista teatrale, ndr), io servivo i marron glacé alla pasticceria Galli, e lui mi guardava. ‘Lei è un animale cinematografico’. De Lullo poi mi disse: ‘Ma sa chi è? È Visconti’.

Lucia Bosè quando lavorava alla pasticceria Galli

Ma io non avevo idea di chi fosse, gli ho dato la mia scatolina di marron glacé …È passato un po’ di tempo e mi eleggono ‘Miss Italia’… mi arriva una lettera di Visconti, credo ancora di averla. ‘Lei si ricorda di quel signore che le disse: lei farà del cinema? Lei farà del cinema e lo farà…’. Dopo aver vinto il titolo, Dino Risi mi scelse per un cortometraggio sulle Cinque giornate di Milano, 1848. Allora, il concorso di ‘Miss Italia’ era forse un po’ più serio di quello che è divenuto in seguito, tutto il cinema italiano, le attrici, erano uscite da lì … Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Gianna Maria Canali, Eleonora Rossi Drago, che però era stata scartata, perché coniugata.

Il suo debutto nella regia del primo lungometraggio avvenne con De Sancis, era il 1950…

Terminato Riso amaro, Silvana Mangano si sposa con De Laurentiis. Nel frattempo, Giuseppe De Santis aveva già preparato Non c’è pace tra gli ulivi e cercava una ragazza. Fu Luchino Visconti a suggerirgli la ‘tusa (ragazza ndr) de Milan’ e quindi di farmi un provino.

Ricordo che c’erano, oltre a me, Carla Del Poggio e altre tre o quattro ragazze, ma poi scelse me. Sul set, De Santis era straordinario, molto carino…

con Raf Vallone in Non c’è pace tra gli ulivi (1950) di Giuseppe De Santis

Nello stesso anno, le fu proposto il ruolo di protagonista in Cronaca di un amore dell’esordiente ferrarese Michelangelo Antonioni…

Si, in un primo momento Antonioni non mi voleva, diceva che ero troppo giovane per interpretare una trentenne, ero diciannovenne. Ma Visconti gli fece cambiare idea, grazie al trucco e soprattutto agli abiti e all’uso dei cappelli…un lavoro straordinario, ero di una eleganza impressionante…

Poi con Antonioni ebbe una nuova occasione di collaborazione con La signora senza camelie, una riflessione sul mondo del cinema…

con L. Visconti, F. Zeffirelli, M. Bolognini, M. Vitti, V. Cortese, B. Brichetto © Archivio Brichetto

Poco prima Visconti aveva diretto Bellissima… Del resto anche all’estero erano uscite pellicole sull’argomento come, ad esempio, Eva contro Eva di Mankievicz…

In questo film ero molto giovane, è stata un’esperienza meravigliosa. È un film modernissimo per l’epoca, era il 1953, infatti non è stato capito. Non lo dovevo fare io ma Gina Lollobrigida, eppure sono felicissima di averlo fatto, perché trovo che Antonioni sia uno dei registi più interessanti e straordinari del cinema italiano, di un certo genere, di autore. Per La signora senza camelie le critiche sono state abbastanza discrete però, Cronaca di un amore, è stato proprio distrutto. Eppure si intuiva che era un film difficile e che era stato incompreso, ora, fortunatamente, è stata riconosciuta da tutti la grandezza di Antonioni. Io ho avuto l’occasione di lavorare con lui e ne sono felicissima. Preferisco Cronaca di un amore a La signora senza camelie

in Cronaca di un amore (1950) di Michelangelo Antonioni

Com’era il lavoro sui set di Antonioni?

Con Antonioni si provava molto, era tremendo, c’era una sceneggiatura di ferro. Fu molto duro, forse perché avevo affrontato il mio primo film, Non c’è pace tra gli ulivi, con una certa incoscienza, mentre per Cronaca di un amore mi trovai in una situazione più difficile, dovevo interpretare una signora dell’alta società.

Mentre De Santis lasciava molta libertà, con Antonioni funzionava diversamente. Si provava e riprovava e il lavoro sul set era fatto di lunghissimi piani-sequenza. Diceva spesso che doveva stancare tutti, quando tutta la troupe, inclusi i macchinisti, era stanca, non ne poteva più, e pure io lo ero, in quel momento diceva, benissimo, adesso giriamo. Se il regista voleva la scena in un determinato modo, così doveva essere, se anche avessimo voluto dire qualcosa, aggiungere o togliere, non ce lo permetteva. Comunque certe volte, qualche piccola modifica me la lasciava fare.

Vuole raccontare l’episodio della brusca reazione da parte di Antonioni nei suoi confronti?

in Cronaca di un amore

Sì, mi ricordo, è avvenuto per una scena di Cronaca di un amore in cui portavo un cappello con la veletta, che è stata girata quaranta volte. Citto Maselli, era aiuto regista di Antonioni, faceva lo scemo con me, faceva l’imitazione di uno scimpanzé, fuori dalla scena, facendomi morire dal ridere. E così abbiamo rifatto per quaranta volte la scena, c’era sempre qualcosa che non funzionava, una volta avevo sbagliato io o c’era qualche problema tecnico, non funzionava il carrello. Dal canto mio, non ce la facevo più, mi mangiavo la veletta. Non si andava avanti e così, ad un certo momento Antonioni si è avvicinato e mi ha dato uno schiaffo. Erano tutti terrorizzati, eccetto me, in fondo quella sberla me la meritavo.

Con Luchino Visconti ebbe mai l’opportunità di collaborare?

No, perchè in quel periodo Visconti non girava film, si occupava di teatro. Bellissima è del 1951, Senso di tre anni dopo… Luchino voleva che facessi teatro, mi chiese di lavorare su Il giardino dei ciliegi, ma dovetti rifiutare. Mi era permesso fare del cinema, ma non potevo fare teatro, non potevo respirare l’aria del teatro… a causa della mia malattia, della mia patologia ai polmoni…

Proseguendo nella sua filmografia, fu diretta, in seguito, da Luciano Emmer su due film, ce ne vuole parlare?

con Marcello Mastroianni in Parigi è sempre Parigi (1951) di L. Emmer

Luciano Emmer era un pazzo…Quando ti dava il copione, dava solo la parte, non esistevano i dialoghi. Anche sul film con Marcello Mastroianni, Parigi è sempre Parigi, gli chiedevamo cosa dovessimo fare… E lui ci diceva di fare quello che volevamo, un litigio tra due fidanzati, ad esempio.

Mastroianni, che era straordinario, cominciava a litigare con me, e io gli davo delle pedate. Emmer ci diceva, “bravissimi, basta, stop!”. E ho lavorato anche su Le ragazze di Spagna, entrambe due commedie molto carine…Un tono molto diverso rispetto alle pellicole di De Santis e Antonioni. Del resto è proprio diversa la figura di Emmer, è più leggera, rilassata…

Successivamente su un set conobbe Walter Chiari, con cui poi ebbe una lunga frequentazione, che ricordo conserva di lui?

Mi piaceva, ma niente di più, voleva sposarmi, ma io non ne volevo sapere. Il primo film fatto insieme fu È l’amor che mi rovina diretto da Mario Soldati. Era una persona molto precisa, ci criticava perché fumavamo, andavamo a ballare, però era anche un personaggio divertente e questo mi piaceva di lui, perché io uscivo dalla storia con Edoardo Visconti, di cui ero stata molto innamorata…

con Walter Chiari

Qual era il suo rapporto con il cinema? La sua carriera artistica, dopo l’incontro con Dominguìn, a metà degli anni cinquanta, subì una brusca interruzione, non ha mai avuto ripensamenti al riguardo?

No, non ne ho avuti. Ho iniziato a fare cinema quasi per caso, mi sono trovata in mezzo e l’ho fatto con grande rispetto. Il primo giorno dissi alla macchina da presa: ‘Vuoi mangiarmi? Sono io che mangio te. Ti darò il 50 per cento, il resto me lo tengo. Voglio vivere una vita, non una vita da attrice’.  Han sempre detto che ero una traditrice, lo riconosco, ho dato al cinema soltanto una parte, il resto lo volevo tenere per me, per la mia vita, ho dato quello che ho potuto. Avevo 25 anni e volevo una famiglia, dei figli. Ero circondata da amici gay che facevano scappare i corteggiatori, erano molto protettivi. Fu una passione travolgente quella col Torero e gli offrii la mia vita. A mia mamma scrissi un telegramma dopo le nozze: ‘Ho sposato un torero’. Risposta: ‘L’ho saputo dai giornali. Ma sei impazzita?’. Erano tutti arrabbiati. Antonioni mi disse: ‘mi hai tradito con un torero’.

Rispetto al momentaneo ritiro dalle scene, fece tuttavia un’eccezione per lavorare con Luis Buñuel…

con Luis Miguel Dominguìn

Lavorare con Buñuel? È stato meraviglioso, era un uomo strano, suonava il tamburo, dormiva su tre assi di legno, e non una. Anche negli alberghi di lusso, a Nizza, dormiva con tre assi di legno, sorseggiando il suo famoso Martini. Sosteneva di essere sordo, per me sentiva tutto, faceva soltanto finta…Con lui ho lavorato ne Gli amanti di domani (1956).

Avevo conosciuto Dominguìn sul set  di La muerte del ciclista (1955) di Bardem, in Italia era uscito col titolo Gli egoisti, e si era deciso che smettessi di lavorare. Ma con Buñuel si era parlato del progetto di Gli amanti di domani l’anno precedente, mi aveva mandato il copione e il manager mi aveva consigliato di fare il film, si trattava di un autore importante con cui collaborare e quindi ho accettato.
Buñuel amava fare scherzi sul set, ma li facevo pure io a lui…Un giorno, mette nel programma di lavoro, rispetto alle scene da girare, due biciclette e io ho aggiunto due zeri, 200 invece di 2. Erano tutti preoccupati perché trovare duecento biciclette a Nizza…Ma dato che era scritto così…occorreva trovarle!

In difficoltà per la richiesta anomala, l’aiuto regista ne parla con Buñuel, accenna all’ordine del giorno delle riprese, che riporta, appunto, duecento bici…Ma lui risponde di averne indicate due soltanto…aveva capito che a correggere ero stata io…

con Alberto Closas ne Gli egoisti ( 1954) di Juan Antonio Bardem

E così poi è Buñuel a fare uno scherzo a me, raccontando a tutta la troupe…”Ah, povera Lucia, povera Lucia…è incinta…”. E in effetti mi trattavano tutti benissimo! Solo che poi ha proseguito dicendo che il figlio non era del Torero, perché aveva avuto una cornata nei genitali, allora il fratello si era ‘prestato’ per fare questo figlio. E tutti mi guardavano stranamente e anche il Torero lo guardavano con commiserazione…(per via della sua presunta impotenza). Buñuel si divertiva con questi scherzi, ne faceva sempre…

La sua carriera cinematografica riprese sul finire degli anni sessanta, primi settanta. Lavora con Paolo e Vittorio Taviani, com’è stata la sua esperienza con loro?

Sotto il segno dello Scorpione (1969) di Paolo e Vittorio Taviani è il primo film a cui ho preso parte al mio ritorno sulle scene in Italia. Un giorno si girava con un fratello, il giorno successivo con l’altro, erano bravissimi tutti e due, non si sentiva la differenza tra l’uno e l’altro … erano perfetti…

Successivamente ha lavorato con Federico Fellini….

Si, ho lavorato su Satyricon…un’inquadratura o poco di più…un po’ come faceva Hichtcock, quando faceva la sua comparsa fuggevolmente nella scena di un proprio film…

In Francia, dove già in passato aveva avuto l’opportunità di lavorare con diversi registi, fece la conoscenza di Marguerite Duras e dell’attrice Jeanne Moreau sul film, Nathalie Granger. Cosa ricorda?

Abbiamo girato il film a casa sua. Io e Jeanne facevamo il bucato e lei dirigeva, col metro in mano, un esercito di amici del partito comunista che le curavano l’orto. Io dovevo dire solo “Le vent” per tutto il film, ma non sono bastati quaranta ciak perché la pronuncia non andava mai bene. Jeanne, dal canto suo, non parlava proprio. Quanto abbiamo riso….Che personaggio la Duras…

Dopo aver lavorato nel 1987 con Francesco Rosi in Cronaca di una morte annunciata, tratto dall’omonimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez, ebbe di nuovo modo di lavorare su un set italiano, diretta da Ferzan Hozpetek….

Si, ho lavorato nel film Harem Suaré (1999). La preparazione è durata una settimana, avevo una piccola parte ma importante. Ferzan, lo conoscevo bene, da quando era aiuto regista.

in Harem Suaré (1999) di Ferzan Hozpetek

Mauro Bolognini ricordo che mi diceva che in futuro avrei sempre potuto avere una parte, magari di regina, o nonna, o zia. Eppure in Italia sembra che non ci siano né nonne, né regine, non mi chiedono di fare mai niente…

Recentemente vive in un paesino, in Spagna, dove ha inaugurato un Museo degli Angeli, di cosa si tratta esattamente?

Ho creato questo Museo degli Angeli, prima di tutto perché non ce ne sono e mi diverto moltissimo, in secondo luogo ho dato la possibilità ad alcuni pittori di dipingerne di nuovi. La folgorazione di aprire un museo dedicato a queste magnifiche creature mi venne proprio a Roma, sul Ponte di Castel Sant’Angelo. Quando vidi per la prima volta queste statue maestose e imponenti, avevo diciotto anni decisi che un giorno avrei fatto qualcosa per loro.

Negli Anni ’70, insieme ai figli Miguel e Lucia ©La Presse

Ho realizzato il mio sogno qualche anno più tardi, acquistando una fabbrica di farina abbandonata a Turégano (vicino a Segovia, a nord di Madrid) che ho trasformato in museo. Le opere esposte sono state realizzate da molti pittori famosi. Trascorro molto tempo con quegli angeli. Rido con loro, piango con loro, canto per loro. Condivido con quelle creature d’arte contemporanea tutte le mie emozioni. Credo da sempre nella presenza-amica degli angeli custodi

Bologna, Settembre 2002