CONVERSAZIONE CON GIOVANNA GRAVINA VOLONTÉ di Luisa Ceretto

Giovanna Gravina Volonté, per gentile concessione di Associazione Quasar – La valigia dell’attore, edizione 2020. Dipinto di Tina Loiodice © Benedetta Scatafassi

Giovanna, tu sei figlia d’arte, quali sono i tuoi primi ricordi di tuo padre, Gian Maria Volonté?  Come sei riuscita a coniugare l’immagine privata con quella pubblica?

Sono nata da due attori giovanissimi, all’epoca mia mamma aveva vent’anni e mio padre ne aveva 28. Riportandoli ad oggi, erano veramente piccoli, poi, all’epoca, erano vent’anni diversi.

In un contesto tra l’altro assurdo dove esisteva una legge per cui io non potevo essere riconosciuta perché mio padre era già sposato, infatti fu uno scandalo incredibile, la vicenda della ragazza madre. E non potevo essere riconosciuta, altrimenti sarei diventata automaticamente la figlia della moglie di mio padre. Questo era il contesto in cui sono nata. Ovviamente ci ho messo un po’ per capire che i miei genitori facevano gli attori e cosa significasse essere attori. Però, ricordo un episodio suggestivo, ero seduta in braccio a Gian Maria, avrò avuto cinque o sei anni al massimo, ed eravamo tutti e due davanti alla televisione, rigorosamente in bianco e nero, a guardare il Caravaggio di Blasi (1), che lui aveva interpretato. Nell’ultima scena è raffigurato Caravaggio mentre muore nella spiaggia della Fertilia e io, ad un certo punto, comincio a piangere disperatamente e Gian Maria che invece continuava a tranquillizzarmi e a consolarmi dicendo, ‘ma io sono qui, quella è una finzione’. Ecco, forse è stato il primo momento in cui ho capito che le cose erano separate.

in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

E so di un altro episodio, me lo ricorda mia madre, che a teatro, ero piccolina, vedendola svenire in scena, ho urlato. Successivamente i miei si sono separati, ho vissuto un po’ anche con lui, poi con una zia, sicuramente la mia non era una famiglia normale. Però anche la ricchezza, al di là delle mancanze, erano genitori che lavoravano tantissimo, in giro per il mondo e non li vedevo moltissimo, ma altrettanto, appunto, la ricchezza di andarli a trovare, di viaggiare, di essere stata sul set di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, o su quello de La classe operaia va in Paradiso, o del Cristo si è fermato a Eboli.

Ho avuto l’opportunità di stare tanto dentro ai teatri, mia mamma ha anche fatto una carriera teatrale, in tournée. Diciamo che, come al solito, c’è il bene e il male come in tutte le cose, una vita abbastanza strapazzata ma straordinaria.

La parte con Gian Maria più importante per me, la memoria più intima tra padre e figlia, io l’ho vissuta con lui nei nostri viaggi in barca, una dimensione fortunatissima, un privilegio assoluto che ho avuto. Sono stati viaggi abbastanza straordinari che abbiamo fatto fino ad un certo punto, ovviamente, mi sembra fino al 1982-1983, la barca a vela fu poi venduta. Durante la mia adolescenza, abbiamo fatto un bellissimo viaggio io e lui da soli, dovevamo partire, pareva per un anno, avrei dovuto studiare da privatista, ma poi, in realtà, è durato tre mesi, gli hanno offerto un film e siamo rientrati, ma io ho comunque fatto l’anno scolastico da privatista.

Giovanna Gravina Volonté, per gentile concessione di Associazione Quasar – La valigia dell’attore, edizione 2021 ©Nanni Angeli

Questa sua dimensione altra, è quella che ho vissuto di più, anche negli anni in cui frequentavamo la Maddalena, ero bambina, e poi si trasferì a Velletri. 

Il legame vero, profondo è stato quello creatosi in quegli undici metri, si chiamava Arzachena. Sulla barca ho imparato tante cose perché, ad esempio, ero disordinata e lo sono ancora, però si deve invece avere una disciplina, lui era anche un po’ paranoico, ma un ottimo maestro di vita e di tutto.

E, nel tempo, come lo hai conosciuto attraverso il suo lavoro, i suoi film…

Per quanto riguarda il suo lavoro, Gian Maria ci teneva tantissimo, ricordo che ci rimaneva male se non andavo subito al cinema a vedere un suo film appena uscito, e poi mi coinvolgeva facendomi vedere le letture che faceva, una volta mi ha chiesto di aiutarlo per le pause.

Visto che per un certo tempo ho lavorato come assistente per il doppiaggio, allora mi coinvolgeva così, su piccole cose. Però poi quando interpretava un ruolo, c’era questa cosa per cui tutti noi, gli affetti che vivevano a stretto contatto con lui, o comunque chi lo frequentava quando si stava preparando, erano momenti in cui si alternava la meraviglia, ma anche il timore di mangiare con Moro, con Lucky Luciano o con non so chi, perché entrava proprio nel ruolo.

in Giordano Bruno (1973) di Giuliano Montaldo

Ricordo una volta in cui mi trattava come una cretina, e io mi domandavo perché mi stesse trattando in quel modo, stava preparando Il tiranno Banderas. Quando ho visto il film, ho scoperto che il protagonista ha una figlia infelice, quindi mi stava usando, se glielo avessi chiesto razionalmente avrebbe negato, in molti casi gli attori sono anche un po’ vampireschi, ti vampirizzano…

A proposito del metodo di recitazione di Gian Maria Volonté, qual è la tua opinione in merito?

Il lavoro, oggi, è completamente diverso da quello di allora, lo sono i mezzi per farlo, è cambiato tutto. Secondo me Gian Maria aveva qualcosa di straordinario, al di là dell’attorialità. Questo lo vedo perché nell’immaginario collettivo, le persone ancora mi contattano e magari sono anche giovani, e stupisce, infatti, che lo possano conoscere, però ne hanno sempre un’idea di umanità, di quello che poi ha fatto anche per tante cause.  Battaglie intraprese, pensiamo al ‘voce-volto’ (2), è intervenuto, anche umanamente, per cambiare questo mestiere.

in Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi

I contesti oggi sono diversi e forse non c’è neanche più il tempo di lavorare come faceva lui, i ritmi sono cambiati, però, indipendentemente da questo, lui partiva sicuramente da un’indagine di ricerca e di studio capillare, di documentazione. Poi il rapporto con gli autori-registi era fondamentale, infatti con alcuni, se non si creava, entrava in conflitto. Se ripensi ai suoi personaggi sono protagonisti assoluti, icone, è un risultato che il regista e l’attore devono creare insieme.

Dei tanti ruoli indimenticabili, qual era il suo personaggio preferito?

Giovanna Gravina Volonté e Ferruccio Marotti per gentile concessione Associazione Quasar – La valigia dell’attore, edizione 2009 ©Barbara Calanca

Difficile dirlo, ripenso a Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, ad esempio, lì l’ho amato moltissimo, ma come del resto in tutti i suoi film, come nella vita.

Ritengo che ci sia una fase precedente ed una successiva. Ci sono personaggi interpretati fino ad un certo punto, anche grotteschi, via via poi è andato sempre a togliere, se penso al suo sguardo nella prima scena del Cristo si è fermato a Eboli, in cui guarda il paesaggio, senza dire nulla, ma racconta tutto. È molto più per sottrazione, è di quella fase anche Una storia semplice, di Emidio Greco. Poi ci sono personaggi che rimangono più impressi, come il commissario (di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), come Lulù Massa (La classe operaia va in Paradiso) però mi sembra che abbia fatto un percorso incredibile, anche in relazione alla sua età, alla sua storia e pensiero.

Figura carismatica, di grande spessore e presenza scenica, attore impegnato, il pubblico e gli studiosi lo conoscono per il grande zelo e serietà con cui lavorava su ogni nuovo personaggio. Quanto questa immagine corrisponde a quella che hai di lui, ci sono aspetti del suo carattere che necessariamente i più ignorano, di cui vuoi dire qualcosa?

C’è un lato istrionico di Gian Maria, spiritoso, scherzoso, che siamo in pochi ad aver potuto conoscere. Si divertiva come un matto a fare scherzi. Infatti, ad un certo punto del suo percorso artistico, c’erano in ballo e si sarebbero potuti forse fare due progetti, uno con Troisi e l’altro con Villaggio. Secondo me, lui avrebbe forse potuto tirare fuori, come in parte aveva fatto, ad esempio, interpretando Teofilatto in L’armata Brancaleone, una parte più ilare che era insita in lui, pur nella drammaticità delle tragedie familiari, al di là di tutto, in certe occasioni, era un giocherellone, inimmaginabile e provocatorio…

Lontano dall’essere una star, qual era il suo rapporto con gli spettatori?

con Ricky Tognazzi in Una storia semplice (1991) di Emidio Greco

Io ricevo se non tutti i giorni, ma quasi, messaggi attraverso i social, in particolare facebook, di persone, attestati di ammirazione, di grande affetto. Gian Maria è rimasto nell’immaginario del pubblico ma anche di chi lo ha scoperto da poco, dei più giovani. Del resto, come lui stesso diceva, ha avuto la fortuna di lavorare in una stagione straordinaria e in ogni suo film c’è un forte contributo personale.

Una stagione cinematografica unica, gli anni sessanta e settanta in Italia, che purtroppo è andata via via esaurendosi nel decennio successivo e che ad una personalità di quel calibro, non ha saputo offrire nuove opportunità lavorative…

Sì, Gian Maria non ha più lavorato in Italia, gli anni ottanta lo hanno escluso, è rimasto fuori. A parte Una storia semplice, ha lavorato e girato all’estero, in Belgio, in Argentina. Certo, ha ovviamente anche pagato certe posizioni prese, non era amatissimo da tutti…

L’ultimo personaggio a cui stava lavorando e che non è riuscito ad ultimare, era quello del direttore e custode della Cineteca di Sarajevo sotto le bombe in Lo sguardo di Ulisse per Theo Anghelopoulos, una figura che avrebbe interpretato benissimo. Per certi aspetti è il ruolo che stai svolgendo tu, quanto ti senti custode della sua memoria?

Per me è stato casuale, non casuale perché sono sua figlia, ma arrivare a creare questa manifestazione, ovviamente non sono stata da sola, mi hanno aiutato tantissime persone che ringrazierò per sempre. Eppure, mi sono resa conto che, creando questa situazione, ma non ne ero cosciente, sarei diventata un po’ il punto di riferimento di chi vuole scrivere libri, fare documentari, o sapere. Sento che sta acquisendo un certo peso, un onere troppo importante e difficile da sostenere, mi trovo in un momento di passaggio…

Un signore che non conosco su facebook mi ha chiesto se questo cordone ombelicale non sia forse ora di tagliarlo. Indipendentemente da questo, sei riconoscibile perché svolgi un’iniziativa pubblica, ti scrivono, ti telefonano ed è certamente un lavoro impegnativo anche faticoso. Però per me, e questo è un insegnamento di Gian Maria e anche di mia madre, senza la memoria non si va da nessuna parte e il fatto che adesso io ne abbia sempre di meno mi sconvolge.

per gentile concessione di Associazione Quasar –La valigia dell’attore, edizione 2021 ©Nanni Angeli

Ci puoi raccontare come nasce il tuo festival, con l’Associazione Quasar, nel 2003?

In realtà l’Associazione nasce molto prima, perché qui da noi, a La Maddalena, mancava il cinema. Così abbiamo aperto la prima arena e poi abbiamo fatto l’invernale, abbiamo riportato il cinema sull’isola. Poi nel 2003, avendo un rapporto col prof. Marotti dell’Università di Roma che dirigeva il Centro Teatro Ateneo de La Sapienza Università di Roma, che aveva promosso una rassegna dedicata a Gian Maria con cinque film, decidemmo di riproporla in inverno, nella sala isolana. Dopo di che abbiamo pensato di creare una manifestazione legata al lavoro d’attore, partendo da Gian Maria e andando oltre. La“Valigia dell’attore” è al suo ventesimo anno, mentre del “Valigialab”, il laboratorio gratuito di alta formazione per attori che segue la rassegna, è la tredicesima edizione. Devo dire che il laboratorio, la parte della formazione, è quella che mi premerebbe di più mantenere, anche perché il resto è sempre più difficile, è veramente un modo di lavorare improbo, però siamo andati avanti fino ad ora, con la passione, oggi mi sento una scellerata senza essermi preoccupata del mio avvenire, ma ho fatto quello che ho fatto sempre di getto e credendoci. Non è che non creda in ciò in cui ho creduto finora, il partire dalla memoria per ricordare e andare avanti ha sempre un senso, ma vedo che il mondo va veramente in un’altra direzione e a questo punto non so se mi interessa. Forse per l’età, o forse dovrei adeguarmi e proporre le serie tv, ma io non ho neppure Netflix, vivo su un altro pianeta, sono legata a quello che ho studiato del cinema di una volta. Largo ai giovani!

per gentile concessione Associazione Quasar, La valigia dell’attore, Mostra dei manifesti originali dei film, edizione 2009 © Marco Sedda 2

In seguito, si è anche aggiunto il Premio Gian Maria Volonté, di cosa si tratta?

Sì, il premio è stato istituito da Felice Laudadio, prima a Roma poi a Taormina e, da ultimo, a Bari. Felice è solito istituire molti premi, allora gli ho proposto di trasferire a La Maddalena il Premio Gian Maria Volonté, dove si svolge una manifestazione dedicata a lui e mi sembrava il contesto più giusto per Gian Maria. È chiaro che non abbiamo la forza del Festival di Bari (BIF&ST), però, alla fine, lo abbiamo convinto e ce lo ha donato, anche se è già pronto a riprenderselo, appena ha sentito la mia intenzione di mollare tutto. Diciamo che non si tratta necessariamente di un riconoscimento all’attore o agli attori dell’anno, è soprattutto un premio all’eccellenza, un premio affettivo, dico io.

E con La Maddalena, qual era il suo legame con l’isola?

Gian Maria ha vissuto qui, è stato in porto e nell’arcipelago, l’ha frequentato e conosciuto molto bene, prima in barca poi la casa, le case, mia madre fu la prima ad acquistarne una. Qui se lo ricordano come una persona molto umile, tranquilla, andava al bar e chiacchierava con tutti. Era stato accettato molto bene perché non aveva alcun tipo di fanatismo, era una persona semplice e gli piacevano cose molto semplici, gli piaceva pescare, come del resto piace a me…

Il Museo del Cinema di Torino ha istituito un Fondo Gian Maria Volonté, com’è nato, ce ne vuoi parlare?

Io e Angelica Ippolito, l’ultima compagna di Gian Maria, abbiamo donato, lei le cose che conservavano nell’ultima casa dove hanno vissuto insieme a Velletri, e altre che avevo io, le abbiamo riunite, abbiamo acquisito tutti i manifesti originali, infatti abbiamo fatto una bellissima mostra. Gian Maria non era uno che come me conserva tutto, lui nei vari traslochi, lasciava o regalava. Dal Museo mi hanno chiesto informazioni sui Premi…a parte il Leone d’oro di Venezia che ha Angelica, i premi Gian Maria li dava via, forse li regalava, ma non li abbiamo mai trovati. Una volta ne aveva lasciato uno in aeroporto, non che non ci tenesse a prenderli, però l’oggetto in sé evidentemente non lo interessava. E invece tutti i suoi libri, le carte nautiche, tutti i copioni, buona parte anche di quelli che ha rinunciato a fare e poi la documentazione è tutto al Museo di Torino che ha dedicato un Fondo. Abbiamo deciso per il Museo, perché lì ci sono già i Fondi di Elio Petri, di Francesco Rosi, ci sembrava giusto. E poi, tra l’altro, Gian Maria ha vissuto a lungo a Torino.

Note:

  1. Caravaggio di Silverio Blasi soggetto e sceneggiatura di Andrea Barbato e Ivo Perilli, voce narrante di Riccardo Cucciolla, produzione RAI, 1967, 207 minuti, bianco e nero, 3 puntate.
  2. “Voce-Volto di Gian Maria Volonté” è la battaglia che l’artista intraprese affinché gli attori non venissero doppiati e quindi non si sentissero più meri elementi di un grande ingranaggio, ma valorizzati nella loro interezza. all’epoca gli attori venivano doppiati in sala di registrazione, perdendo così una parte importantissima – la voce appunto – della fase interpretativa. Nessuno aveva mai osato mettere in discussione questa granitica regola del cinema italiano, anche perché erano i produttori a volerlo – per ragioni economiche – e non era il caso di fare la guerra a chi poteva determinare le sorti di una carriera. Un dogma, il voce-volto, per tutti ma non per Gian Maria Volonté, secondo cui il ruolo dell’attore doveva completarsi a 360 gradi.
per gentile concessione Associazione Quasar –La valigia dell’attore, edizione 2019 ©Ugo Buonamici