XVI – POESIA E RESISTENZA

Numero XVI – Aprile 2020

Sommario:

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Il discorso di Duccio Galimberti del 26 luglio 1943 a Cuneo viene ritenuto l’atto di nascita della Resistenza italiana

POESIA E RESISTENZA di Anna Albertano

Primi Piani dedica questo numero alla Resistenza italiana, alla letteratura che la riguarda, la guerra partigiana ha ispirato autori affermati e soprattutto suoi protagonisti e testimoni che in versi e in prosa l’hanno percorsa e consegnata alla memoria.

Massimo Mila, commissario politico delle formazioni “Giustizia e Libertà” in Canavese – Valli di Lanzo, al momento del congedo scrisse ai partigiani: “C’è un po’ di amarezza nel momento della separazione… la poesia della nostra giovinezza è finita. Ora incomincia la prosa del lavoro nei campi, nelle officine, negli uffici…” (1)

Massimo Mila

Massimo Mila

In quei lunghi mesi di buio, di vita sospesa ad un filo, è stata la risposta all’oppressione nazifascista, nella tragicità degli eventi, a generare “poesia” rischiarando il cammino di chi aveva scelto la via della libertà.   

“Nella sua storia – ha affermato Ferruccio Parri – è solo in questo momento, solo tra il 1943 ed il 1945, che l’Italia dà quello che ha di meglio. Vi è una carica di energia morale che l’Italia non ha mai avuto nella sua storia, mai.” (2)

E sono molti fra coloro che ne hanno preso parte a ricordare quel momento come unico, il più importante della propria vita. (3)

Come ha detto Michele Calandri, “i nostri giovani di allora, disinformati, educati dal fascismo a non pensare, improvvisamente costretti a fare scelte esistenziali, vitali per sé e per il futuro del Paese… da soli, debbono inventarsi la guerra partigiana per porre definitivamente fine al fascismo e cacciare il tedesco.” (4)

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Ferruccio Parri (terzo da sinistra) al corteo della Liberazione a Milano

“La storia d’Italia passa per questa tappa di liberazione” (5 ) e il ruolo che la Resistenza italiana ha avuto nell’esito della guerra è stato riconosciuto dalle forze alleate come dai tedeschi. (6)

Se tuttavia in Gran Bretagna la resistenza alla Germania nazista resta ancora oggi motivo di orgoglio e di un sentimento di superiorità dei britannici verso il resto d’Europa, nel nostro Paese il tema della libertà e della democrazia non appassiona altrettanto, la Resistenza nel migliore dei casi è una commemorazione annuale fra le altre, e a settantacinque anni di distanza non ha trovato una considerazione adeguata nella società, nella scuola, nella cultura.

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Norberto Bobbio

Il filo conduttore di molte liriche dedicate ad essa e ai suoi caduti rievoca la violenza subita dal regime di occupazione, che ha cosparso il territorio nazionale di stragi, eccidi, torture su partigiani e sulla popolazione civile, violenza perpetrata da nazisti e fascisti. (7)

Un inferno al quale la Liberazione pone fine. Così la ricorda Norberto Bobbio: “Fu come se un vento impetuoso avesse spazzato d’un colpo tutte le nubi e alzando gli occhi potessimo rivedere il sole di cui avevamo dimenticato lo splendore… Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi.” (8) 

Ada Gobetti

Ada Gobetti

Attingendo alla vasta produzione letteraria esistente, proponiamo alcune poesie e brani di diari e romanzi, testi noti e sconosciuti, dando spazio a voci che hanno combattuto quella guerra e saputo riportarne l’intensità e renderne testimonianza nella pagina scritta, tra queste Ada Gobetti, figura di spicco tra le protagoniste della Resistenza italiana. (9)

Per la narrativa, fra gli altri ricordiamo Beppe Fenoglio e Luigi Meneghello, due grandi scrittori, coetanei, entrambi partigiani (con gli azzurri Fenoglio, con gli azionisti Meneghello) e anticonformisti, anche nel rapporto con la scrittura e la memoria. Pur in modo diverso, la loro lingua, estremamente attuale e lontana da ogni retorica, è espressione di etica e insieme di misura.

Di Carlo Levi riportiamo brani da L’orologio, romanzo che racconta la fine del governo di Ferruccio Parri fondato sui valori della Resistenza, la breve illusione di un futuro diverso per l’Italia, naufragata per l’immobilismo di Roma, della classe politica, dopo pochi mesi già dimentica della volontà di cambiamento emersa con la guerra di liberazione. (10)

NOTE

1)Bruno Rolando, La Resistenza di “Giustizia e Libertà” nel Canavese, Enrico Editore, 1981, p. 351.

2) Ferruccio Parri, Il CLN e la guerra partigiana, lezione al Teatro Eliseo di Roma, 1960.

3) Si ricordano fra i tanti, i volumi di due partigiani “Giustizia e Libertà”:

Guido De Rosa, Le ore più belle. Diario di un partigiano nel Canavese, (prima edizione 1945), Edizioni del Capricorno, 2014.

Enzo Biagi, I quattordici mesi. La mia Resistenza, Rizzoli, 2009.

4) Dall’intervento del Prof. Michele Calandri, a lungo direttore dell’Istituto storico della Resistenza di Cuneo, in occasione delle celebrazioni del XXV aprile a Canale:  https://liberidiresistere.wordpress.com/2009/04/27/xxv-aprile-a-canale-intervento-del-dott-calandri/

5) Ferruccio Parri, op.cit.

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Torino, come l’intero Piemonte, viene liberata dai partigiani prima dell’arrivo degli alleati. I violenti scontri durano per giorni.

6) “A giudizio delle stesse autorità alleate, la Resistenza italiana giocò un ruolo importante per l’esito della guerra in Italia e, a costo di grandi sacrifici umani, cooperò attivamente a indebolire le forze nazifasciste, a minarne il morale e a renderne precarie le retrovie, impegnando notevole parte delle unità militari o paramilitari del nemico. Anche le fonti tedesche documentano che le forze partigiane furono causa di problemi e difficoltà militari per i comandi e le truppe della Wehrmacht. Secondo il Center for the Study of Intelligence della Central Intelligence Agency, i partigiani italiani ‘tennero sette divisioni tedesche occupate lontano dal fronte [con gli Alleati]’, e con l’insurrezione finale dell’aprile 1945 ‘ottennero la resa di due divisioni tedesche, che portò direttamente al collasso delle forze tedesche entro e attorno Genova, Torino e Milano’”. https://it.wikipedia.org/wiki/Resistenza_italiana

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Genova si libera da sola. I tedeschi vengono fatti sfilare in segno di resa

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Stragi_nazifasciste_in_Italia

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Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

 8) Norberto Bobbio, Eravamo ridiventati uomini, Testimonianze e discorsi sulla Resistenza in Italia, Einaudi, 2015.

9) Ada Prospero sposa giovanissima Piero Gobetti. Negli anni del fascismo la loro casa è al centro di una rete clandestina di intellettuali, che porterà alla costituzione del movimento di “Giustizia e Libertà”. Nel 1941 Ada partecipa alla fondazione del Partito d’Azione. Dopo l’8 settembre 1943, con il figlio Paolo, entra nella Resistenza, costituendo un primo nucleo di partigiani e mantenendo i collegamenti tra Torino e le formazioni “G.L.” operanti in Val Susa e in altri centri del Piemonte. È  fondatrice dei Gruppi di difesa della donna.

10) Tra gli obiettivi del Governo Parri, fondato sull’antifascismo e sulla memoria della Resistenza, insieme alla lotta alla partitocrazia, vi era l’epurazione dall’amministrazione pubblica di tutti coloro che avevano collaborato col regime fascista. Parri fu inoltre tra i primi politici a denunciare l’esistenza della mafia nell’Italia meridionale e a proporre una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata.

TESTI a cura di Anna Albertano, Bruno Brunini, Giacomo Varri   

PARTE PRIMA

                           PIERO CALAMANDREI

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LAPIDE AD IGNOMINIA

Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costituirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati
dei borghi inermi e straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità.
Non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro di ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato tra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
su questre strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ORA E SEMPRE RESISTENZA

Scritta da Calamandrei, tra i fondatori del Partito d’Azione, in memoria di Duccio Galimberti nel 1952, ottavo anniversario del suo assassinio, la celebre epigrafe è in risposta a Kesserling, comandante delle forze naziste in Italia, condannato per crimini di guerra (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e altre), che liberato per presunte gravi condizioni di salute, per nulla pentito dichiarò che gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento.

VIVI E PRESENTI CON NOI

Vivi e presenti con noi
finché in loro
ci ritroveremo uniti

morti per sempre
per nostra viltà
quando fosse vero
che son morti invano

SALVATORE QUASIMODO

ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevamo noi cantare

Con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.

Salvatore_Quasimodo

IL MIO PAESE È L’ITALIA

Più i giorni s’allontanano dispersi
e più ritornano nel cuore dei poeti.
Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
con le colline di cadaveri che bruciano
in nuvole di nafta, là i reticolati
per la quarantena d’Israele,
il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
le catene di poveri già morti da gran tempo
e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
là Buchenwald, la mite selva di faggi,
i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo, e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.

BEPPE FENOGLIO

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Da APPUNTI PARTIGIANI     Appunti partigiani 31MwwwD8PFL._BO1,204,203,200_

Tòrnaci. Se te la senti, tòrnaci. Ma sappi che ogni volta passeranno con camion e mitraglie e cani per quelle colline dove tu sarai, io mi sentirò morire. Ora vai.

  Abbraccio mia madre, non stretta, che non senta col petto la pistola che mi sforma una tasca… 

È già buio e molto freddo. Non c’è luna, ma spunterà? Risalgo la provinciale Alba-Acqui per un duecento metri, taglio in un prato in salita e sono sulla stradina di San Rocco. Lì stacco il mio bel passo da campagna; paiono viaggiare con me le colline alla mia destra, che guardano la mia piccola città tenuta da loro. Ci vive la ragazza di cui sono, sarò sempre innamorato…

 Se m’ammazzano, posso sperare che lei senta qualcosa rompersi dentro e venga sù per le colline a cercarmi tra amici e nemici, ululando come una lupa? Mi ritroverà lungo, lunghissimo sopra la neve e mi bacerà tra sangue e gelo…

…Cascina della Langa porta un’idea di tramontana e solitudine… ci passerò tre mesi d’ogni anno che mi resterà. A patto che sposi quella tale ragazza, se no non se ne fa niente. Se no, ci verrò da solo, a piedi, una volta all’anno, un giorno qualsiasi d’inverno, e cercherò di riprovare quel freddo, di fare pressappoco le cose e i passi e i pensieri che devo aver fatti in un’eguale giornata dell’inverno 44-45. E speriamo che i mezzadri che ci saranno allora, mi lascino fare, non mi vengano dietro con troppo sospetto né pretendano troppe spiegazioni. Ogni inverno ci verrò, come a un anniversario, fino a quando sarò così vecchio e stanco da dubitare per un momento che un giorno da queste parti io vi abbia tanto camminato e combattuto. E questo m’avvertirà che il prossimo inverno non potrò risalire a toccare i  muri della vecchia Langa…

EMANUELE ARTOM

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Ancora andare. Vivere la guerra

sotto la pioggia ed una sorte ignota;

sempre pestare questa grigia terra,

sempre pestare questa fredda mota.

E’ la prima strofa che Artom compone per una lirica da dedicare ad un compagno caduto  nel dicembre del ’43. Partigiano  in Val Pellice e Val Germanasca, Emanuele Artom è catturato dai nazisti il 25 marzo 1944. Riconosciuto come ebreo oltre che commissario politico di “Giustizia e Libertà”, viene orribilmente torturato, e muore il 7 aprile nelle Carceri Nuove di Torino.

ANDREA ZANZOTTO  

LIRICA IN RICORDO DI DIECI PARTIGIANI FUCILATI DAI NAZIFASCISTI

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Oggi la neve sul bianco del collo

ha un filo di sangue

che viene dalle vene di dieci morti …

Zanzotto partecipa alla Resistenza veneta aderendo alle Brigate “Giustizia e Libertà” occupandosi della stampa e della propaganda.

PIER PAOLO PASOLINI

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LA RESISTENZA E LA SUA LUCE

Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’ Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…

Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.

ALFONSO GATTO

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25 APRILE

La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
e fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.

FRANCO FORTINI

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CANTO DEGLI ULTIMI PARTIGIANI

Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.
Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.

VALDOSSOLA

E il tuo fucile sopra l’erba del pascolo.

Qui siamo giunti
siamo gli ultimi noi
questo silenzio che cosa.

Verranno ora
verranno

E il tuo fucile nell’acqua della fontana.

Ottobre vento amaro
la nuvola è sul monte
chi parlerà per noi.

Verranno ora
verranno.

Inverno ultimo anno
le mani cieche la fronte
e nessun grido più.

E il tuo fucile sotto la pietra di neve.

Verranno ora
verranno.

16 ottobre 1944


La lirica è dedicata alla Repubblica libera della Val d’Ossola, uno degli episodi più importanti della Resistenza italiana (medaglia d’oro al valore militare) messa a tacere da un terribile  rastrellamento fascista con l’appoggio di formazioni tedesche.

GIANNI RODARI

LA MADRE DEL PARTIGIANO

Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,Gianni Rodari 9cb4dbfb6fa30e97 1
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.

RENATA VIGANÒ

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Da L’AGNESE VA A MORIRE

 …Erano molti, pareva che uscissero dalla terra, tanto si moltiplicavano le loro facce grigie, inespressive e feroci, tanto si allungavano le loro file rigide, come fatte di legno: uomini di legno, e pareva impossibile che avessero dietro di loro un’infanzia, una casa, un paese dove erano nati. Sembravano creati così, adulti, armati, a serie, a reggimenti, pronti per fare la guerra.

…Il Comandante, Clinto e ‘La Disperata’ tornarono nel pomeriggio, si trassero dietro un’ondata di freddo. Il cielo era lontano e sereno, il gelo si stabiliva nell’aria, era una cosa solida, luminosa, trasparente, che levava il fiato. Aveva un odore sano, sincero, l’odore delle pure sete d’inverno nei grandi spazi di campagna senza case, di acque senza barche. Quelli che venivano di fuori lo portavano nei vestiti, nei gesti, nel respiro: sembrò spento anche il fuoco ronzante della stufa.

Renata Viganò ha partecipato alla lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna come infermiera, staffetta garibaldina e collaboratrice della stampa clandestina.

PARTE SECONDA

ADA GOBETTI

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Ada Gobetti col figlio Paolo

Da DIARIO PARTIGIANO

Quando ci ripenso, oggi, mi pare impossibile d’aver potuto essere in quei giorni, nonostante l’età e l’esperienza, così fanciullescamente superficiale e felice; con uno spirito quasi d’innocenza, uno stato d’animo di vacanza (credo, del resto, che questo fosse lo stato d’animo di molti tra noi). L’unica cosa seria forse era la sensazione che, come nella più bella vacanza, tutto questo ‘non poteva durare’; e l’attesa di qualcosa che ci avrebbe ben altrimenti e più profondamente impegnati.

Quel giorno, dunque, quando vidi passare le automobili tedesche, ebbi improvvisa la sensazione che la vacanza fosse finita

Io non sapevo, certo. E del resto quel nostro salire nella sera verso la collina non aveva per me nulla d’insolito. Quante volte durante il periodo dei bombardamenti, avevam percorso quella strada!E la casa settecentesca, vigilata dai due antichi cipressi, era pur sempre la stessa; e la stessa la cordiale, serena accoglienza che sempre ci si trovava.

Soltanto il mattino dopo incominciai a rendermi veramente conto della realtà quando, passando in tram dinanzi a Porta Nuova, vidi dei soldati tedeschi, armati sino ai denti, in divisa mimetizzata, di guardia presso i mitragliatori

Alla stazione, tra la folla che pareva l’abituale massa di «sfollati», tutto era come al solito: c’eran soltanto i tedeschi di guardia, impassibili e nemici, come isolati da un cerchio magico…

Il racconto incomincia dal 10 settembre 1943, dall’inizio dell’occupazione tedesca di Torino, dopo i “quaranta giorni badogliani” seguiti all’annuncio della caduta del fascismo.

GIORGIO CAPRONI

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AHI I NOMI PER L’ETERNO ABBANDONATI

Ahi i nomi per l’eterno abbandonati

Ahi i nomi per l’eterno abbandonati

sui sassi. Quale voce, quale cuore

è negli empiti lunghi – nei velati

soprassalti dei cani? Dalle gole

deserte, sugli spalti dilavati

dagli anni, un soffio tronca le parole

morte – sono nel sangue gli ululati

miti che cercano invano un amore

fra le pietre dei monti. E questo è il lutto

dei figli? E chi si salverà dal vento

muto sui morti – da tanto distrutto

pianto, mentre nel petto lo sgomento

della vita più insorge?… Unico frutto,

oh i nomi senza palpito – oh il lamento.

GIORGIO BASSANI

NON PIANGERE, COMPAGNO

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Non piangere, compagno,

se m’hai trovato qui steso.

Vedi, non ho più peso

in me di sangue. Mi lagno

di quest’ombra che mi sale

dal ventre pallido al cuore,

inaridito fiore

d’indifferenza mortale.

Portami fuori, amico,

al sole che scalda la piazza,

al vento celeste che spazza

il mio golfo infinito.

Concedimi l’erma pace

dell’aria. Fa’ che io bruci

ostia candida, brace,

persa nel sonno della luce.

Lascia così che dorma: fermento

piano, una mite cosa

sono, un calmo e lento

cielo in me riposa.

CESARE PAVESE 

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TU NON SAI LE COLLINE

Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue. Tutti quanti fuggimmo tutti quanti gettammo l’arma e il nome. Una donna ci guardava fuggire. Uno solo di noi si fermò a pugno chiuso,vide il cielo vuoto, chinò il capo e morì sotto il muro, tacendo. Ora è un cencio di sangue e il suo nome. Una donna ci aspetta alle colline.

CORRADO GOVONI

ALADINO. LAMENTO SU MIO FIGLIO MORTO

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Fosse Ardeatine – imbocco delle cave

Quanto poté durare il tuo martirio
nelle sinistre fosse Ardeatine
per mano del carnefice tedesco
ubriaco di ferocia e di viltà?
Come il lungo calvario di Gesù
seviziato deriso e sputacchiato
nel suo ansante sudor di sangue e d’anima
fosse durato, o un’ora o un sol minuto;
fu un tale peso pel tuo cuore umano,
che avrai sofferto, o figlio, e conosciuto
tutto il dolor del mondo in quel minuto.
Non fu un sogno. E pareva di sognare.
La città, la campagna e tutto il mondo
era in preda al terrore e al tradimento.
L’incubo dentro l’incubo: era questo
il più terribile e infernal tormento.
La notte intera si invocava il giorno;
e il giorno era più torvo della notte.
Un passante poteva, nel soffiarvi
il suo fiato serpino dentro il collo,
gridarvi a bruciapelo: «Mani in alto!».
Vi aspettava la cella della morte,
le barbare torture e l’assassinio.
Fu così orrenda la realtà del sangue
nel risveglio, che ancor vorrei sognare;
e nel colmo dell’incubo nell’incubo
del più folle terrore ancor tremare.

Dalla raccolta di poesie che Corrado Govoni dedica al figlio Aladino, partigiano, tra le 335 vittime dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine.

ITALO CALVINO

Italo Calvino

OLTRE IL PONTE        

O ragazza dalle guance di pesca
o ragazza dalle guance d’aurora
io spero che a narrarti riesca
la mia vita all’età che tu hai ora.

Coprifuoco, la truppa tedesca
la città dominava, siam pronti:
chi non vuole chinare la testa
con noi prenda la strada dei monti.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Silenziosa suglia aghi di pino
su spinosi ricci di castagna
una squadra nel buio mattino
discendeva l’oscura montagna.

La speranza era nostra compagna
a assaltar caposaldi nemici
conquistandoci l’armi in battaglia
scalzi e laceri eppure felici.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Non è detto che fossimo santi
l’eroismo non è sovrumano
corri, abbassati, dai corri avanti!
ogni passo che fai non è vano.

Vedevamo a portata di mano
oltre il tronco il cespuglio il canneto
l’avvenire di un giorno più umano
e più giusto più libero e lieto.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

Ormai tutti han famiglia hanno figli
che non sanno la storia di ieri
io son solo e passeggio fra i tigli
con te cara che allora non c’eri.

E vorrei che quei nostri pensieri
quelle nostre speranze di allora
rivivessero in quel che tu speri
o ragazza color dell’aurora.

Avevamo vent’anni e oltre il ponte
oltre il ponte ch’è in mano nemica
vedevam l’altra riva, la vita
tutto il bene del mondo oltre il ponte.

Tutto il male avevamo di fronte
tutto il bene avevamo nel cuore
a vent’anni la vita è oltre il ponte
oltre il fuoco comincia l’amore.

GIOVANNI SERBANDINI, “BINI”

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PER PAPA’ CERVI 

Come la Resistenza hai resistito
vecchia quercia
che i tuoi sette rami
gagliardi d’avvenire
opponesti alla nera tempesta
tutti e sette insieme
in un’alba solo stroncati
Come la Resistenza hai resistito
Perché oggi i ragazzi italiani
Sopra il tuo tronco nodoso
In uno squarcio libero di cielo
Vedano
Sette stelle d’argento

Ad Alcide Cervi, padre dei sette fratelli fucilati a Reggio Emilia il 28/12/1943.


PAESI DI MONTAGNA

Non vi avremmo mai conosciuti
paesi nostri di montagna.
Al diradarsi della nebbia
dopo il lungo cammino
scoperti, con le vecchie case a gruppi
l’una all’altra addossate.
O quando ormai credevamo
di aver perduto la strada nel buio,
per l’abbaiare di un cane
ritrovati, dove una luce di acetilene
accompagnava il secchio d’acqua
alla fontana.

Né ci sarebbe divenuta familiare
la stufa in mezzo alla stanza,
sedendo sulle panche a scaldarci
mentre cuoce la minestra di patate
o il pastone da portare alla mucca.
Che è uno dei cento mestieri
dall’alba, oltre ad andare per legna
e per erba che non basta mai.

La miseria non fu essa a contare
davanti ai soldati sfuggiti
ai tedeschi, di vesti borghesi
bisognosi e di cibo.
Non fu la diffidenza a contare,
antica come l’abbandono,
quando chiedemmo la cascina
per la prima banda di partigiani.
Ché anzi, cuocendo a turno
il pane per noi o dandosi la voce
per segnalare il pericolo,
lasciaron cadere durati litigi.
Ma in quell’antica crosta
di fronte alla spia
tornavano a chiudersi,
come fosse più dura
dei mitra puntati
nei rastrellamenti nazisti.

Serbandini, “Bini”, ligure, è stato partigiano nel genovese nelle formazioni Garibaldi.

MARIA PANAGIA

IL PANE

Era l’alba
quando ti condussero là,
per ucciderti a vent’anni.
Il carcere aveva smagrito il tuo volto,
ma non aveva spento
la luce degli occhi,
fatti più limpidi al sole
dopo la lunga oscurità
della cella.

Ti uccisero e lasciarono il tuo corpo
dove tutti lo potessero vedere
e tua madre urlasse il tuo pianto
guardandoti
senza poterti toccare.

Per lei,
dalle tasche del tuo vestito
tolsero un pane spezzato,
l’unico ricordo,
la memoria dell’ultima cena.


TULLIA DE MAYO

È PASSATA UNA SOLA STAGIONE   

Ho visto gli alberi fiorire
e i frutti crescere
sui rami ai quali
impiccarono i miei fratelli.
E’ passata una sola stagione
da quando staccammo
come frutti acerbi
i loro corpi uccisi.
Un giorno un albero
diventò una croce
ma non si dimenticò
di essere un albero di susine.
E’ passata una sola stagione.
gli alberi fioriscono, i frutti crescono.
Il nostro dolore
ha messo una sordina.

PRIMAVERA ’44

I primi bucaneve
li portarono le donne
alle tombe senza nome.

Li tenevano nascosti in petto
e il nemico non s’accorse
di quel gesto d’amore.

Mani furtive li deposero
sulla terra in disgelo
e germogliò la primavera
nei bianchi cimiteri.

Partigiane in Canavese

Sfilata di partigiane in Canavese

STAFFETTA PARTIGIANA

Lidia non pianse,
oppose il suo silenzio
come sfida all’oltraggio,
mentre corpo e mente
erano tutto un grido
e il cuore invocava
con ansia la morte.

Tullia De Mayo è stata partigiana nelle formazioni Garibaldi in Canavese.

IDEALE CANNELLA

UNO SGUARDO AL PORTAFOGLIO

Quando il ragazzo
pone mano al portafoglio
una pena sottile
gli serpeggia nel cuore:
una fotografia,
lettere,
immagini benedette,
una stella alpina,
qualche foglietto inutile…
Alza il capo, mi guarda:
– Me lo custodisce ?
<<Sì; te lo restituirò al ritorno>>.
Sorride triste, il ragazzo,
abbiamo uno sguardo d’intesa:
se non dovesse tornare…
Il patriota
rasserenato s’allontana.
Nelle mani
mi resta quel portafoglio.

Ideale Cannella, di origine abruzzese, si unisce come infermiera alle formazioni partigiane nelle valli di Sondrio.

PARTE TERZA

GIUSEPPE UNGARETTI

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PER I MORTI DELLA RESISTENZA

Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.

ROBERTO ROVERSI  

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IL TEDESCO IMPERATORE

Passano i tedeschi nelle Langhe,

strisciano i piedi sull’asfalto.

Stridono ruote, battono i fucili

contro gli elmetti vuoti, per la strada

di campagna, dinanzi all’osteria

sporca di mosche, ancora insanguinata

per la morte di una donna fulminata

con bicicletta e pane

accartocciato, l’insalata, il sale,

da un colpo di pistola.

Un cavallo al galoppo, ombre, voci

correnti lungo l’argine, per le sponde

mescolate di fango e erba nuova.

Poi al mattino le Langhe sono azzurre

nell’abbraccio delle Alpi deserte.

da DOPO CAMPOFORMIO

Dopo Campoformio ebe9ac202a3149b75a8ae8adb2e1d8a7_XL

RICORDATE

Ricordate

Ricordateci

noi che la libertà

l’abbiamo inseguita

camminando sul fuoco

noi falciati

sotto cieli violenti di guerra

Ricordateci

Ricordate

Braci accese sono le vostre vite

Per la luce del vostri pensieri

E per nuove speranze

Roberto Roversi, poeta e scrittore bolognese, è stato partigiano in Piemonte nelle formazioni di “Giustizia e Libertà”.

ALDO FARINA

GLI IMPICCATI

Con rabbia atroce
li soffocarono al cappio
perché il loro grido
si spegnesse per sempre
e invece dilagò
dai monti alla pianura
coi loro nomi di battaglia
“Giustizia” e “Libertà”.

Aldo Farina, partigiano ligure.

ELENA BONO

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COMBATTIMENTO

Ululano i monti

in mezzo alla battaglia,

sibilano selve

agitando braccia di fuoco.

Tu taci,

cuore,

ti comprimi sull’arma.

Tu sei silenzioso,

sangue,

corri sulla terra

e ti seguono gli occhi dei morenti

mentre da loro ti allontani.

Forse soltanto qualche donna

Altrove

sente in sé la tua voce

all’improvviso.

Disperatamente

gridi in seno a tua madre

e in seno a Dio, sangue silenzioso.

                                                          

 GIUSEPPE BARTOLI, “PINO”

25 APRILE

L’importante è non rompere lo stelo
della ginestra che protende
oltre la siepe dei giorni il suo fiore
C’é un fremito antico in noi
che credemmo nella voce del cuore
piantando alberi della libertà
sulle pietre arse e sulle croci
Oggi non osiamo alzare bandiere
alziamo solo stinti medaglieri
ricamati di timide stelle dorate
come il pudore delle primule:
noi che viviamo ancora di leggende
incise sulla pelle umiliata
dalla vigliaccheria degli immemori
Quando fummo nel sole
e la giovinezza fioriva
come il seme nella zolla
sfidammo cantando l’infinito
con un senso dell’Eterno
e con mani colme di storia
consapevoli del prezzo pagato
Sentivamo il domani sulle ferite
e un sogno impalpabile di pace
immenso come il profumo del pane
E sui monti che videro il nostro passo
colmo di lacrime e fatica
non resti dissecato
quel fiore che si nutrì di sangue
e di rugiada in un aprile stupendo
quando il mondo trattenne il respiro
davanti al vento della libertà
portato dai figli della Resistenza

Giuseppe “Pino” Bartoli, ufficiale della formazione partigiana “Silvio Corbari” nell’appennino faentino  in Emilia Romagna.

GIOVANNI CAPUZZO

PER UN PARTIGIANO CADUTO

Era nel buio l’ombra
a darti un volto,
o indistinta paura del domani?
Ma all’alba si partì,
cuore d’acciaio e muscoli di bronzo
sui campi seminati incontro a loro.
Battito breve di un’ala sul fossato:
una canzone ricoprì lo strappo
della tua carne, o mio fratello,
un canto lungo come il tuo cammino
per i sentieri chiari del futuro.
A darci luce il tuo sorriso valse,
quando la fronte sollevasti al sole,
per dirgli la tua pena e il tuo tormento.
Poi ricadesti: i fiori
sugli esili gambi pensierosi
bastarono a donarti una corona.

Giovanni Capuzzo, partigiano toscano.

FRANCO ANTONICELLI

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Franco Antonicelli (con cappello) con Pavese, Ginzburg e Frassinelli

Da FESTA GRANDE DI APRILE. RAPPRESENTAZIONE POPOLARE IN DUE TEMPI

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Franco Antonicelli con Ferruccio Parri

CANZONE DELLA CIMICE

Siam vissuti con la cimice

con la cimice sul petto

che odore cattivo mandava

che odore il lurido insetto

che non lasciava il nostro petto.

Non era una cimice di bosco

che se non altro ha le ali

ma una cimice casalinga

una cimice dall’odore infetto

che non lasciava il nostro petto.

Succhiava il nostro sangue

dormiva nel nostro letto

chi mai l’avrebbe scacciata?

il fuoco ci voleva, il fuoco

fuoco dalla cantina al tetto

così la cimice è bruciata

bruciata sul nostro petto.

Saggista e poeta antifascista, Franco Antonicelli entra a far parte del CLN del Piemonte e nel 1945 ne diventa presidente. Nel 1947 pubblica con la propria casa editrice Se questo è un uomo di Primo Levi rifiutato dall’Einaudi.

LUIGI MENEGHELLO  

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Da I PICCOLI MAESTRI

… Dappertutto (almeno da noi, nel  Vicentino) si sentiva muoversi la stessa corrente  di sentimento collettivo; era l’esperienza di un vero moto popolare, ed era inebriante; si avvertiva la strapotenza delle cose che partono dal basso, le cose spontanee; si provava il calore, la sicurezza di trovarsi immersi in questa onda della volontà generale… noi prendevamo per scontato  che la volontà dell’Italia non esiste. Invece ora era saltata fuori, e ci eravamo in mezzo…Piccoli maestri

 Questo è il cuore dell’avventura, il centro. È un periodo breve, poche settimane: i calendari dicono così. A noi parve lunghissimo, forse perché tutto contava, ogni ora, ogni sguardo. Nel viso di un compagno che si sveglia sotto un pino, nel giro di occhi di un inglese appoggiato a una roccia, leggevamo un’intera vicenda di pensieri e di sentimenti, e la leggiamo ancora tanti anni dopo, con la stessa evidenza e complessità, e la stessa assenza di tempo. Il tempo non c’era, l’avevano bevuto le rocce, e ciò che accadeva di giorno e di notte era senza dimensioni…

Le forme vere della natura sono forme della coscienza. Di queste cose si è sentito parlare nelle storie letterarie, ma quando si esperimentano di persona paiono nuove, e solo in seguito, riflettendoci, si vede che sono le stesse. Lassù, per la prima volta in vita nostra, ci siamo sentiti  veramente liberi, e quel paesaggio s’è associato per sempre con la nostra idea di libertà. In molti modi è un paesaggio adatto a questa associazione: intanto è un altopiano, uno zoccolo alto, e tutti i rilievi sono sopra questo zoccolo, ben staccati dalla pianura, elevati, isolati. Questo si sentiva fortemente lassù: eravamo sopra l’Italia, arroccati … E’ lassù che ci siamo sentiti liberi, e non è meraviglia che questi circhi, questi boschi, queste rocce fiorite ci siano passati dentro, come modi della coscienza, e ci sembrino ancora il paesaggio più incantevole che conosciamo…

CARLO LEVI

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Da L’OROLOGIO

La notte, a Roma, par di sentire ruggire leoni. Un mormorio indistinto è il respiro della città, fra le sue cupole nere e i colli lontani, nell’ombra qua e là scintillante; e a tratti un rumore roco di sirene, come se il mare fosse vicino, e dal porto partissero navi per chissà quali orizzonti. E poi quel suono, insieme vago e selvatico, crudele ma non privo di una strana dolcezza, il ruggito dei leoni, nel deserto notturno delle caseè un suono animalesco, che par venire da viscere nascoste o da gole aperte invano a cercare una parola impossibile… È un rumore pieno d’ozio, come uno sbadiglio belluino, indeterminato e terribile…

Venivo direttamente da Firenze… dove tutti parevano ancora vivere nell’atmosfera vivificante della Resistenza, e non si pensava esistesse differenza fra i politici e la gente comune; ma ciascuno faceva quello che faceva con naturalezza, in un mondo indipendente e senza compartimenti stagni, nelle fabbriche, sul lavoro o nel governo locale del Comitato di Liberazione. Quella libertà attiva e creativa durò, come tutti i miracoli assai poco…

… erano giorni importanti. Il Ministero era caduto: il governo Parri era stato rovesciato, e la crisi si protraeva, con le sue attese, i suoi colpi di scena, le sue manovre. Sapevamo tutti benissimo, come una verità evidente e ovvia… che quelli erano avvenimenti decisivi, che il futuro dell’Italia, per molti anni, ne sarebbe dipeso, che si trattava di decidere se quello straordinario movimento popolare che si chiamava la Resistenza avrebbe avuto uno sviluppo nei fatti, rinnovando la struttura del Paese; o se sarebbe stato respinto tra i ricordi storici, rinnegato come attiva realtà, relegato tutt’al più nel profondo della coscienza individuale, come una esperienza morale senza frutti visibili, piena soltanto delle promesse di un lontano futuro… 

C’era stato un momento in cui gli uomini si erano sentiti tutti uniti fra di loro e col mondo e avevano visto la morte e vissuto in un’aria comune. Questo momento non era finito del tutto; continuava nella gente che imparava a vivere negli errori e nei dolori, che frugava tra le macerie, che sapeva di esistere e rinunciava alle cose perdute…

Il tavolo, davanti a noi, era coperto di telegrammi, che il vento muoveva. Erano centinaia di telegrammi, venivano da ogni parte d’Italia, dalle sezioni di partito, dai partigiani, da tutte le Commissioni interne operaie. Dicevano tutti le stesse cose: solidarietà col governo, protesta contro la crisi, incitamento a resistere. Dietro ad ognuno di essi c’erano forse degli uomini coi loro visi e la loro appassionata volontà…

Il Presidente dimissionario aveva convocato i membri del Comitato di Liberazione, gli uomini politici, i giornalisti… Gli uscieri che mi accolsero  all’ingresso e mi accompagnarono per scale, scalette e interminabili corridoi, avevano un’aria stranamente allegra… Avevano le facce distese di chi si è tolto un gran peso dal cuore: essi sentivano che era l’ultimo giorno nel quale degli sconosciuti senza titolo, con facce e vestiti che parevano di un’altra razza, penetravano in quella loro casa; che essa non sarebbe mai più stata profanata; che quel Palazzo, che aveva resistito imperturbabile a tante bufere, sarebbe finalmente tornato in loro possesso, per loro, per loro soli. Non avrebbero dovuto più trepidare al pensiero di folli riforme, di insensati cambiamenti, di crudeli epurazioni, di ridicole pretese di efficienza: non avrebbero più dovuto salutare qualcuno che non si peritava di umiliarli schivando gli onori, che li insultava rifiutando perfino il titolo di Eccellenza, così dolce sulla bocca…

Carlo Levi nel 1931 si unisce al movimento antifascista di “Giustizia e Libertà” e nel ‘43 aderisce al Partito d’Azione.

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Ferruccio Parri e Carlo Levi (primo a sinistra) alla presentazione del libro di Michele Pantaleone Mafia e politica nel 1962 (Foto Istituto Luce)