… La mancanza di vero paragone tra mondo e linguaggio, e l’incerta proporzione di presenza e assenza, incomprensione oblio, avviano a quell’opera estranea che è la poesia. Essa richiede un affetto passivo, un pensiero ricettivo. Poesia non è qualunque atto di raccogliere il mondo come un soccorritore del senso o un adulatore del linguaggio, ma l’esperienza d’una fedeltà che vuole trattenere l’indicibile. Poesia è agire al di sopra di ciò che si riesce a pensare. (1)
Nanni Cagnone
Nanni Cagnone, poeta, scrittore, traduttore e saggista, è una delle maggiori personalità della letteratura europea contemporanea.
“I suoi libri sono luoghi di bellezza e di meditazione, – scrive Antonio Devicienti (2) – … di fecondo silenzio e di parola nel suo senso antico, nobile e netta, mai banale, mai impoverita, mai sciatta… sono una meditazione sulla vita che corre in avanti e sa sempre avvincerci, emozionarci, talvolta ci fa ribellare contro la stupidità, contro il brutto e la violenza della storia”.
Poeta dell’indicibile e dell’impensabile, sempre oltre l’equilibrio delle cose perché “poesia è agire al di sopra di ciò che si riesce a pensare”, scrive Cagnone in Discorde.
“Nel momento in cui lo si vorrebbe definire, – spiega Francesca Diano (3) – subito ci si accorge che quella definizione, è limitante. Non lo contiene… Opera dopo opera, Cagnone ha polverizzato ogni schema, traboccando da ogni confine prevedibile imposto da correnti, generi letterari, mode, tendenze”.

Angelo Cagnone, Altrove, 2007
Tra il visibile e l’invisibile, il suo verso erratico, in cui affiora il senso di apertura a nuovi spazi, lo proietta oltre ogni sé, alla ricerca di un altrove, superando ogni rigido e rassicurante limite.
Ciò che si coglie, infatti, nella sua poesia, non è un pensiero condotto verso un punto di arrivo, ma la presenza di una riflessione costante, carica di vita, di domande, che incontra nel suo cammino l’indefinibile, qualcosa che rimane lì, alla sorgente del mondo, con la propria forza evocativa, e solo in questa distanza assume risonanza nella mente.
Con il suo linguaggio ricco di valori simbolici e la sua “discordia d’andatura” rispetto a ogni modo di vivere e di pensare alienato e omologante, Cagnone ha portato qualcosa di bello e di vivo dentro il nostro tempo.
“Spudoratamente / dignità intendevo, / parlando a nome / dei non asserviti pochi / da cui non si tolse / incanto, mentre gli altri / vollero eguagliarsi.” Così dice il poeta in Tornare altrove, uno dei suoi libri più recenti.
Considerando le notevoli raccolte della sua ampia bibliografia, con oltre una trentina di opere di poesia uscite in Italia e all’estero, si potrà rilevare che il suo interesse si rivolge in particolare alle forme lunghe in poesia, come ricorda Luca Minoli (4) : “Fin dall’inizio si è cimentato in poemi come Andatura, Vaticinio, poi inclusi nel volume complessivo Armi senza insegne, o come The Book of Giving Back, Il popolo delle cose, Tacere fra gli aberi e Ingenuitas, che rappresentano gli esempi più lampanti della bravura di questo poeta nell’affrontare i progetti lunghi e intricati”.
Senza trascurare nulla della realtà aspra e feroce dell’epoca attuale, la sua scrittura procede nell’indagare il presente attraverso le molteplici stratificazioni temporali.
“Sguardo che tiene / il presente nel passato,” si legge nella raccolta Anima del vuoto.
Intransigente nella sua necessità di precisione, grazie a una cultura policentrica e al suo classicismo moderno, che comprende tradizione e attualità, nella sua opera, la parola poetica ritrova una nitida consistenza.
“Cagnone sa di raccogliere una eredità classica e arcaica insieme – precisa Lucetta Frisa (5) -– la radice antichissima della poesia, che nasce da una forma di continua e indiretta interrogazione al mistero esistenziale, sottende occultamente tutta la sua scrittura”.
Classicismi metrici, la Grecia antica, con il suo canto e la sua sapienza, in cui ritrova un’eco di durata, ma anche versi liberi irregolari, fatti di ellissi, di omissioni, con modi di sincope jazzistica, che nascono da una vocazione musicale e da una profonda conoscenza della lingua, scandiscono il percorso del poeta verso l’essenziale.
Come scrive Antonio Devicienti (6): “Passo dopo passo, nella sua poesia esiste qualcosa che chiamerò grazia, che significa equilibrio tra contenuto e sua espressione, tra dominio perfetto della forma e naturalezza dello stile, tra ricerca del bello scrivere (non fine a se stesso, però) ed esperienza di vita… il suo scrivere in poesia non è vagheggiamento d’un impossibile idillio… un autore come Cagnone non tace il proprio giudizio sulla storia, come individuo denuncia i guasti del potere, come artista non si rifugia nei dorati giardini del bello, chiusi e sprangati al mondo esterno”.
“Più non s’invitano / i viventi, se infierire / prevale su soccorrere / e sconfitti ovunque / i nostri sentimenti. / Uccisi – disordinate schiere, / non ravvicinati / lembi di ferite. / E voi, che per avidità / o superstizione / fate buio”, scriverà Cagnone in Tornare altrove.
Diverse sono le possibili linee di lettura e i temi che s’intrecciano in tutta la sua opera.
Imprescindibile, come punto di partenza del suo cammino, c’è il senso della libertà, intesa come rifiuto di ogni dogma e come “giving back”, capacità di restituire la libertà delle cose.
“La libertà di Cagnone – spiega Enrico Cerasi (7) – è di corrispondere a qualcosa che lo trascende… ed è la risposta al mistero che ci chiama a uno sguardo libero dalla condizione in cui siamo posti… Dall’oltre in cui l’Altro ci chiama a porre lo sguardo, si può vedere la realtà nei suoi contorni più precisi”.
Un altro elemento centrale della sua opera è la dimensione del ritorno, verso la riscoperta di un’origine nascosta, che via via riemerge attraverso l’invenzione della parola. E in questo duplice sguardo all’indietro e in avanti, s’identifica un segreto legame con il tempo del sogno, territorio immenso di visioni e suggestioni, che consente al poeta di raggiungere le zone più profonde del desiderio e stabilire un rapporto con il reale, che non è fatto di spiegazioni logiche.
“È come se avendo sognato volessi sostenere il tuo sogno nella veglia”, si legge nel racconto Enter Balthazar.
Incidenza rilevante sull’invenzione della sua poesia, hanno poi, sia il tema della natura, da cui riemerge il mondo, la natura che gli si manifesta non circoscritta ma illimitata nelle mille sue forme, in cui l’io poetante si sente immerso, sia il tema dell’esilio, a cui il poeta tra riferimenti e intuizioni che riguardano anche il fare poesia, attribuisce fondamentale importanza per la definizione della propria identità.
“Lontano, ho motivo / di stare con voi, / come chi va rasente. / Diversamente, non potrei: / verso alberi / non sono che radura…”, si legge nel poema Il popolo delle cose.
L’esilio però – come spiega Cerasi (9) – “significa anche separazione, distanza dalle cose come dall’origine… taciturna è l’origine, e taciturne le cose che sempre ci guardano e non possiamo mai raggiungere.”
Nell’attraversamento di diversi nuclei fondamentali, che all’interno di un’ininterrotta ricerca, vasta e complessa, hanno avuto vari sviluppi e mutamenti di prospettiva, la sua poesia affilata di conoscenza ci conduce poi in una sorta di vuoto luminoso. Un vuoto che è parte costitutiva della vita, spazio tra ciò che sta al di qua e ciò che sta al di là della soglia, luogo dell’anima e della mente, che vive e si afferma come qualcosa di archetipico nonostante le avversità della storia.
“C’è chi preferisce il pieno e chi il vuoto – io tengo per me il cagionevole sentimento del vuoto”, scrive il poeta in Discorde.
Un vuoto, dunque, dove si espande una sensazione d’infinito e dove l’immaginazione si proietta. Un vuoto che al medesimo tempo comporta per il poeta, come scrive Francesca Diano (10) “il farsi concavo ricettivo, teso ad accogliere, aperto al mondo, vacante come una bocca che chieda cibo… perché non c’è concavità senza vuoto da cui non si può prescindere, per affermare la propria condizione d’incoativa ma mai raggiungibile perfettibilità… Ed è proprio quella concavità a fare di Cagnone l’outsider, l’irregolare, che è”.
“Invidiato vuoto / che non teme simmetrie, e / si ritrae senza colpire, sciame / di fissità, che non si mostra / virtuoso con roveti e fiori / e a noi perdona lo sguardo – / solo / anello troppo grande, / laccio lucente, escluso”, dirà Cagnone in Vuoto e compassione, e successivamente, in Enter Balthazar: “non ha forma il vuoto… in esso tutto fa difetto, anche i tradizionali fardelli”.
“Ma come non vedere che quest’accogliere il vuoto (e l’intera epifania del mondo) dentro di sé non sia anche esclusione di appartenenza? – ricorda Francesca Diano(11) – Tutta l’opera di Cagnone, in versi o in prosa, è percorsa dal turbine di non appartenere, di sottrarsi al dogmatismo d’ogni certezza.”
“Perché in fondo, – sottolinea Cerasi(12) – non si tratta che d’imparare a guardare, abbandonando la convinzione che le cose debbano dar prova della bontà dei nostri presupposti.”
Il vuoto per Cagnone, poi, è anche silenzio, che in Discorde viene definito “un dono”. “Il silenzio soggetto del dire”, spazio di attrazione cosmica e di corrispondenze, in cui si intuisce un nesso con i nodi essenziali della condizione umana e in cui il linguaggio non è ancora pervenuto a una forma.
“Un silenzio – come osserva Devicienti(13) – che non approda a una mistica della rinuncia, piuttosto esplicita l’idea che Cagnone ha della poesia, la quale può manifestarsi proprio in dialogo con il silenzio, quale argine fecondo per la parola poetica, quale suo inveramento e punto d’arrivo, ma non annullamento, come si potrebbe semplicisticamente ritenere… il silenzio esiste invece quale necessario polo del dire e viene espresso con un verbo (tacere) che implica un’azione e una scelta”.
“Ne l’aperto, ora, / nel folto, nel diramarsi / dell’inestricabile, / ovunque ebbe principio / un atto di luce. È il tempo / in cui si ascolta e divora, / non si tace, è il vocabolario / dell’estate, la solidarietà / del mondo conosciuto”, scrive il poeta in Tacere fra gli alberi.
Col suo procedere, l’andamento del verso può essere inteso anche in relazione a una forma particolare di silenzio, che si esprime nella punteggiatura, nella spazialità, nell’ellissi, nella concentrazione di significato della parola, in tutti questi attimi sospesi che inducono il lettore a sostare, a meditare.
Nanni Cagnone, in quest’epoca di globalizzazione e di social media, si pone come un punto di riferimento di valore, a chi pensa che la scrittura possa essere ancora un luogo d’incontro, di sensibilità, intelligenza, ostinazione a guardare oltre il presente, condividendo ciò che scrive Antonio Devicienti (14): “… Nel bailamme contemporaneo; nella generale corsa a pubblicare, a farsi vedere (più che leggere), Cagnone, dal suo eremo di Bomarzo, s’afferma presenza appartata e decisiva, schiva e cordiale, che dimostra che è possibile l’esercizio d’un vivere appartato, eppure ben nel centro della contemporaneità, dedito alla concentrazione e all’attenzione per ogni attimo dell’esistere”.
NOTE:
1) Nanni Cagnone, Après coup (1988)
2) Antonio Devicienti, Su due libri di Nanni Cagnone www.nannicagnone.eu/html/works29.htm
3) Francesca Diano, L’uomo della soglia
https://rebstein.files.wordpress.com
4) Luca Minola, Nota su Tacere fra gli alberi di Nanni Cagnone
https://ramodoroblog.wordpress.com
5) Lucetta Frisa, Su un testo di Nanni Cagnone
https://perigeion.wordpress.com
6) Antonio Devicienti, Su due libri di Nanni Cagnone
7) Enrico Cerasi, Acconsentire al mistero. La libertà di Nanni Cagnone www.nannicagnone.eu/pdf/ec.pdf
8) Francesca Diano, L’uomo della soglia
9) Enrico Cerasi, Nanni Cagnone, L’insonnia della superficie, in “Poesia” n. 268, febbraio 2012
10) Francesca Diano, L’uomo della soglia
11) Francesca Diano, L’uomo della soglia
12) Enrico Cerasi, Acconsentire al mistero
13) Antonio Devicienti, Disàmare in volo: su Tacere fra gli alberi di Nanni Cagnone
https://vialepsius.wordpress.com
14) Antonio Devicienti, Su due libri di Nanni Cagnone