CLAUDE GORETTA, UNO DEI PADRI FONDATORI DEL NUOVO CINEMA SVIZZERO di Luisa Ceretto

 Claude Goretta ©Keystone/Sandro Campardo sda-ats

“Ad un mestiere come il nostro, ci si deve aggrappare il più a lungo possibile e non abbandonarlo mai, anche se può capitare che dopo un insuccesso qualcuno lo lasci. Ma se guardiamo alla storia del cinema, non c’è nessun grande regista che non si sia sbagliato, che non abbia realizzato un film non riuscito  (…) è importante non abbandonare l’obiettivo, resistere fino alla fine…”          Claude Goretta

Tra i nomi più celebri della cinematografia svizzera romanda (di lingua francese), Claude Goretta regista, produttore e sceneggiatore, è tra i fautori del profondo rinnovamento del nuovo cinema svizzero, che negli anni settanta – una decina di anni dopo rispetto ai cugini francesi ribellatisi al “cinéma de papa” -, al fianco di personalità come Alain Tanner e Michel Soutter, con le proprie opere proponeva un’immagine della Svizzera lontana dalla cartolina stereotipata in voga in certe pellicole degli anni precedenti, facendo parlare di sé, suscitando l’interesse della stampa e raggiungendo platee internazionali e importanti vetrine festivaliere. Una trentina di titoli, alternando produzioni cinematografiche e televisive, lungo un arco temporale che va dalla fine degli anni cinquanta agli inizi del ventunesimo secolo, Goretta si muove con disinvoltura tra piccolo e grande schermo, realizzando documentari e film di fiction. Ritrattista di personaggi “normali”, di coloro che, per usare un’espressione che ha fatto propria, sono “vinti dalla vita, non hanno alcun appuntamento con la Storia”, Goretta si distingue per l’acutezza della propria indagine sociale e psicologica, narratore di anime, di sentimenti, autore colto e raffinato. 

Nathalie Baye e Angela Winkler in La provinciale (1981)

Tra le costanti del suo cinema, l’attenzione alla condizione femminile e alla sua evoluzione nella società dopo gli anni sessanta, oltre ad un’innata predisposizione per la direzione degli attori, nello svelare il talento di interpreti ancora poco noti, come, ad esempio, Isabelle Huppert, Nathalie Baye o ancora Jean-Luc Bideau, Gérard Depardieu e Bruno Ganz. Stimato dagli attori più noti, Charles Vanel (1), nel corso di un’intervista, lo definisce il miglior regista con cui abbia lavorato. Nato a Ginevra il 23 giugno 1929 da padre di origini italiane – il nonno, Goretti, da Verbania si trasferì in Svizzera, a fare il falegname – e  da madre tedesca, Julie Louise Seemüller, è fratello di Jean-Pierre Goretta, celebre reporter e intervistatore della Radio e Televisione Svizzera. Procuratore bancario, il padre di Claude, Jean-Louis, decide poi di cambiare la vocale finale del cognome, da Goretti in Goretta. Durante gli studi di giurisprudenza all’Università di Ginevra – intrapresi per assecondare la volontà paterna -, Claude fonda, nel 1952, insieme ad Alain Tanner, un Cineclub universitario nel quale sono programmati film del Neorealismo, insieme a pellicole della nouvelle vague, a documentari sociali tedeschi censurati dal nazismo. Collabora, inoltre, come critico cinematografico, al “Journal de Genève” e alla “Tribune de Genève”.                                                   

All’età di ventisei anni, è il 1955, Goretta parte per Londra, dove, insieme ad Alain Tanner lavora presso gli archivi del British Film Institute, istituzione che offrirà la pellicola per realizzare Nice Time, co-diretto con il suo sodale, cortometraggio che sarà premiato al Festival di Venezia nel 1957. È a Londra che il futuro regista ha modo di confrontarsi con gli angry young men del Free Cinema, Lindsay Anderson, Tony Richardson, Karel Reisz, promotori di un cinema che rivolgeva il suo sguardo al sociale, senza enfasi pedagogica o dogmatica, quanto piuttosto con una curiosità partecipe e consapevole delle radici e dei cambiamenti in atto a quell’epoca. Di ritorno in Svizzera, nel 1957, animato da un intento innovatore e di sperimentazione ispiratogli dall’esperienza londinese, Goretta debutta nella neonata TSR (Télévision Suisse Romande), come documentarista e, successivamente, negli anni sessanta collabora per la trasmissione Cinq colonnes à la Une per la televisione francese, RTF Télévision poi divenuta ORTF (tra i vari lavori, un reportage sull’India ed uno sull’Algeria girato nel 1965 sui francesi che vivevano nel Paese, a tre anni dalla dichiarazione di indipendenza dalla Francia). La televisione gli consente di misurarsi nei vari ambiti, a partire, appunto, dal reportage, ne realizza una ventina per il programma della televisione svizzera Continents sans visa, in seguito, Temps présent. Nei suoi lavori emerge una particolare sensibilità nell’avvicinarsi alla gente comune, che si tratti di un impiegato di banca, della madre di una famiglia numerosa, o degli zingari di Saint-Marie de la Maire, come di immigrati stagionali provenienti dalla Spagna o ancora di una operaia russa a San Pietroburgo (allora Leningrado). Formatosi nell’ambito televisivo, per Goretta la televisione costituisce il medium più diretto per dialogare con la realtà.

Anche tecnicamente, l’invenzione dell’éclair coutant, che consente la ripresa col suono diretto, rappresenta un’importante innovazione non solo tecnica, ma soprattutto sul piano espressivo, che libera, per certi versi, il modo di girare, consentendo di entrare nelle case delle persone e filmarle, rendendo così possibile la traduzione in immagini più immediata delle loro diverse vite. Ma col tempo, un’attitudine di rigore e correttezza induce Goretta ad abbandonare il documentario sociale per il timore di un’eccessiva invasività della cinepresa nella vita dei soggetti ripresi. Sempre per la televisione, difatti, Goretta realizza lungometraggi, cortometraggi, telefilm, adattamenti letterari e drammi teatrali. Tra i titoli, Racines di Arnold Wesker, Le jour des Noces – tratto da Una scampagnata di Guy de Maupassant, e due adattamenti dallo scrittore elvetico Walter Weideli, Le dossier Chelsea Street e La fusillade en réponse à Dostoievski. E ancora, alcuni titoli desunti da opere di Claudel, August Strindberg, John Osborne, Walter Weideli. Domenica di maggio è del 1962, Cechov o Le Miroir des Vies perdues di due anni più tardi. Nel 1966 firma Jean-Luc persécuté, dall’omonimo romanzo del suo connazionaleCharles-Ferdinand Ramuz, un film considerato, per lo stile, precursore della Nouvelle Vague elvetica. Coprodotto da quattro televisioni, è la vicenda di un amore non corrisposto e del tentativo, malgrado tutto, di un’ipotesi di vita in comune. “Per noi, dopo i balbettii dei nostri cineasti ufficiali, tra il nulla e l’attesa, Jean-Luc persécuté segna un primo passo di valore. Ecco finalmente una creazione cinematografica decentralizzata, nella Svizzera romanda, e diffusa (anche se solo dalla televisione), che sembra uscire dal territorio dell’utopia.” (2). Dello stesso autore ventun anni dopo, Goretta adatterà per il cinema, Se il sole non tornasse (1987).

François Simon in Le fou (1970)

Nel frattempo, sull’onda del Sessantotto, fonda a Ginevra una casa di produzione, Groupe 5, con Alain Tanner, Michel Soutter, Jean-Louis Roy, Jean-Jacques Lagrande (sostituito in seguito  da Yves Yersin),  le cui opere hanno dato grande impulso al cinema svizzero, facendolo uscire dalle strettoie dei confini nazionali. Il suo esordio nel cinema avviene nel 1970 con Le fou, interpretato da François Simon, nei panni di un impiegato modello che diviene un abile rapinatore. Come dichiara Goretta “questo dramma di un cinquantenne che ha costruito la sua vita su un miraggio (…) è un’esperienza televisiva a causa della macchina da presa fissa, ad altezza d’uomo, frontale, dove l’apporto della tecnica è sostituito dallo sviluppo temporale. C’è una specie di insistenza sui gesti, sulle persone, una perpendicolarità dello sguardo nei confronti dei visi.” L’uscita un anno prima di Charles mort ou vif con cui Alain Tanner firmava il suo primo lungometraggio, interpretato dallo stesso attore scelto da Goretta, potrebbe forse averne offuscato un po’ la portata, non riuscirà difatti a trovare una distribuzione nelle sale cinematografiche. È con L’invitation, tre anni più tardi, che ottiene i meritati riconoscimenti, come il premio speciale della Giuria, a Cannes. L’imprevista fortuna economica di un impiegato diviene l’occasione, nelle mani di Goretta, per analizzare e denunciare le frustrazioni e le ipocrisie di una piccola comunità. Un film in cui il regista, come è stato detto, osserva con sguardo cecoviano quel mondo di impiegati, di “petits gens”, in cui ritrova “sia chi soffre sia chi cerca di vivere”, da considerarsi l’opera più riuscita e graffiante della nuova onda.

Charles Vanel

Tra l’altro la pellicola rappresenta anche la prima di una serie di coproduzioni franco-svizzere firmate da Goretta, che da quel momento girerà alternativamente al di qua e al di là della frontiera. Il nome di Claude Goretta è ormai definitivamente uscito dai confini svizzeri. «Preferisco fare il cineasta all’estero piuttosto che lo spazzino a Ginevra” ricorderà nel corso di un’intervista, ”scherzi a parte, devo molto a un paese come la Francia (…), se L’invitation non fosse stato del tutto casualmente invitato al Festival di Cannes, non avrei mai potuto fare quello che ho fatto». (3) Per Pas si méchant que ça (1974), una sorta di «Bonnie e Clyde alla svizzera», amato dalla critica internazionale, si avvale di attori ancora poco noti come Marlène Jobert e Gérard Depardieu. Una delle preoccupazioni dell’autore, che rappresenta il filo rosso nella sua ricerca artistica, è l’attenzione rivolta a personaggi indifesi e solitari la cui estrema sensibilità, può rischiare di restare inespressa per la difficoltà di comunicare, per mancanza di cultura. È il caso della protagonista del quarto film, Pomme, ingenua parrucchiera che non sosterrà l’abbandono da parte di chi l’ha amata, interpretata da una giovanissima e sconosciuta Isabelle Huppert – che ottiene la palma d’oro per la migliore interpretazione femminile. Il film, La merlettaia (1977), tratto dall’omonimo romanzo di Pascal Lainé che consacra il regista a livello internazionale. Con lo scrittore Pascal Lainé la collaborazione proseguirà ancora negli anni novanta, con titoli riguardanti Maigret di Simenon, a cui dedica una serie tv interpretata da Bruno Cremer.

Corinne Coderay, Jean-Luc Bideau in L’invitation (1973)

Nel 1980 con La provinciale, tratteggia un altro personaggio femminile, Claire, interpretato da Nathalie Baye – al fianco di Bruno Ganz -, una donna e le sue disavventure lavorative e di inserimento nel contesto della grande metropoli e il suo ritorno in provincia. “La disoccupazione, qui, rimane al suo posto: un elemento di stress supplementare, un rivelatore dell’insicurezza sociale; ma Goretta parla di un disagio più vasto, quello causato da una società competitiva che distrugge poco o molto ognuno dei suoi membri. Una società dove l’assenza di rapporti veri, la mancanza d’amore, l’incertezza degli obiettivi trasformano la vita quotidiana in un incubo ricorrente” (4). Entrambe le pellicole privilegiano personaggi oppressi, vittime dell’arroganza di una società dell’apparenza e superficialità, tuttavia, rispetto, alla protagonista di La merlettaia, in Claire vi è il rifiuto di accettare le imposizioni dall’esterno e prevale invece una salda volontà di rimanere fedele a se stessa.

Isabelle Huppert ne La merlettaia (1977)

Con La morte di Mario Ricci (1983) l’autore ginevrino torna ad indagare sulle tensioni all’interno di un gruppo sociale, in questo caso nel Jura in un villaggio immaginario, dove un giornalista – magistralmente interpretato da Gian Maria Volonté premiato a Cannes per la migliore interpretazione maschile – farà luce sull’omicidio a sfondo razziale di un giovane operaio italiano emigrato in Svizzera. “La crisi che incombe sulla piccola comunità qui rappresentata non è che il riflesso di una crisi più generale: quella del nostro mondo, a cui nessuno può scappare (…) Se le azioni parallele che si svolgono nel film hanno come contesto un villaggio svizzero apparentemente senza storia, il loro significato ha una portata che va ben al di là di questo quadro ristretto. Si può pensare a una favola. E non è un caso che la lingua dei personaggi sia il francese, ma un francese fortemente segnato da diversi accenti (…) Ognuno di questi accenti riflette una mentalità particolare: insomma, un piccolo mosaico europeo in confetti elvetici!” (5)

Da ricordare, una regia lirica, una messinscena di Orfeo dall’opera di Monteverdi, nel 1985, che sarà presentata al Festival di Aix-en-Province e poi al Grand Théâtre di Ginevra e di cui Goretta girerà negli studi romani di Cinecittà una trasposizione cinematografica, avvalendosi del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno. Con Se il sole non tornasse (1987) la vicenda si svolge in uno sperduto villaggio montanaro privato del sole per diversi mesi all’anno, dove un anziano profeta e stregone annuncia la fine del mondo, tratto, come più sopra ricordato, dall’omonimo testo letterario di Ramuz. Nel 1988 Goretta gira un documentario sulla mafia, Les ennemies de la mafia, che contiene una lunga intervista della giornalista Marcelle Padovani al giudice Giovanni Falcone. Il suo ultimo film lo gira nel 1991 con L’ombre, un melodramma a sfondo politico, con Jacques Perrin e Pierre Arditi. In quello stesso anno riprende la sua attività televisiva e da allora non ha più realizzato pellicole per il grande schermo. Tra le regie per la tv, il pregevole, Thérèse et Léon, nel 2001.

Bruno Cremer in Maigret ha paura (1996)

È del 2006 il suo ultimo film tv, Sartre, l’âge des passions, sulla vita di Sartre dal 1958 al 1964, le sue lotte e la sua relazione con Simone de Beauvoir, diviso in due parti, Maya Sansa, Anna Alvaro e Denis Podalydès gli interpreti. Come ricorda quest’ultimo: “Claude non è un cineasta che si accontenta di applicare la sceneggiatura alla lettera. Piuttosto se ne appropria attraverso una conversazione costante con gli attori, in un clima di effervescenza intellettuale”. Nel 2010 Goretta riceve il Quarzo d’onore, importante onorificenza del cinema svizzero. L’anno successivo gli viene riconosciuto il Pardo alla carriera al Festival internazionale del film di Locano per l’insieme della sua opera. Nel 2019, Claude Goretta, all’età di ottantanove anni, muore nella sua casa di Ginevra. La sua scomparsa avviene pochi giorni dopo quella del suo connazionale Bruno Ganz.

Maya Sansa, Anna Alvaro in Sartre l’age des passions (2006)

Note

  1. Interpreta il profeta in Se il sole non tornasse.  In oltre mezzo secolo, Charles Vanel ha collaborato con registi, per citare i più noti, come René Clair, Francesco Rosi, Ettore Scola, Henri Clouzot, Luis Buñuel, Alfred Hitchcock.    
  2. “Travelling” n° 13, estate 1966.
  3. Antonio Mariotti, Claude Goretta, il regista colto che amava il pubblico, “Corriere del Ticino” febbraio 2019.
  4. Michel Mardore “Le Nouvel Observateur”, dal Bollettino della Cinémathèque suisse, n. 264, novembre-dicembre 2011.
  5. Claude Goretta nel pressbook del film.

Abbiamo incontrato Claude Goretta nel 1998, in occasione di una rassegna cinematografica itinerante in più città italiane, dedicata a Gian Maria Volonté, che l’autore aveva diretto nella pellicola La morte di Mario Ricci (1983).

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