A guardare il cinema oggi, soprattutto quello che ottiene i maggiori riconoscimenti, accade non di rado di rimanerne disorientati. Che si tratti, come è stato detto da più parti, di un cinema del reale che si avvicina al proprio oggetto di osservazione al punto di perderlo di vista, talvolta di un cinema dove virtuosismi linguistici o perfetti meccanismi narrativi finiscono per mostrare l’inconsistenza del progetto, ma anche di un cinema, specialmente nostrano, in cui l’aderenza a determinati canoni, estetiche e tematiche sempre più uguali, che si rincorrono fra loro, pare abbia spazzato via ogni altra cosa, si va profilando un orizzonte caratterizzato dalla rarefazione di storie, di creatività, di idee. Fortunatamente il cinema prosegue, con tantissimi film che pur non trovando spesso adeguata attenzione, rendono giustizia all’intelligenza e al gusto, e a vivacizzare il panorama ci pensano anche registi che si pongono l’obiettivo di raccontare il cinema e la sua storia.
Fra questi Mark Cousins, studioso, critico cinematografico, documentarista, ma soprattutto appassionato della settima arte. Il suo nome è noto in Italia per una recente rilettura dell’opera di Orson Welles, a partire dal ritrovamento di schizzi e disegni dell’autore di Quarto potere. La sua cinefilia non conosce limiti geografici, spazia dall’Africa all’Oriente, passando per l’Iran, l’India e il Giappone. In epoca recente di pandemia, è stata riproposta sugli schermi virtuali italiani la sua Story of Film: An Odyssey, quindici episodi che compongono la sua singolare e straordinaria storia del cinema con punti di vista trasversali, riflessioni sul rapporto tra stile e cambiamenti sociali, un racconto di centoventi anni d’immagini in movimento, un appassionante viaggio all’interno delle connessioni tra un film ed un altro, 916 minuti che prendono le mosse dall’omonimo volume scritto da Cousins anni prima, che porta alla luce, salvando dall’oblio, molti registi altrimenti sconosciuti.
PASSIONE CINEFILA: LO SGUARDO DI MARK COUSINS
di Luisa Ceretto
Sono nato a Belfast nel cuore della guerra e noi eravamo bambini spaventati, ma quando andavo al cinema mi sentivo rinascere. Non c’erano molti divertimenti però c’era il cinema, seduto nella sala buia, ancora prima che il film iniziasse ero felice. Il cinema era accessibile… provengo da una famiglia semplice… il cinema rappresenta l’arte della gente… era come se il cinema mi prendesse per mano e mi dicesse: ‘Mostrami il tuo mondo’. Da una parte il cinema è per tutti, dall’altra ha il potere di farti viaggiare intorno al mondo…
Mark Cousins

Mark Cousins con Luisa Ceretto
Irlandese di origine, critico ma soprattutto regista, Mark Cousins inizia la propria attività artistica nell’universo televisivo, insieme ad altre iniziative conduce, sin dai primi anni novanta, la serie prodotta dalla BBC Moviedrome, un programma in cui presenta film inediti. Autore di documentari, tra il 1999 e il 2000 per Scene by scene, realizza interviste a registi come Roman Polanski, David Lynch e Woody Allen. Nel 2002 al termine di un lungo viaggio che lo porta in vari Paesi e soprattutto in Oriente, scrive The Story of Film, un volume senza troppi tecnicismi e destinato al grande pubblico. Anni dopo, gira The First Movie su un gruppo di bambini nell’Iraq curdo, che per la prima volta vedono lungometraggi su grande schermo, filmandone le reazioni. Insieme a Tilda Swinton organizza festival sperimentali in Scozia e in Cina, attingendo alle feste per bambini, alle fiabe, proponendo formule fruitive tese a riaccendere la passione per la settima arte ed i suoi protagonisti. Insieme danno vita alla Fondazione 8 ½, quindi ad un affascinante Pellegrinaggio cinematografico per la Scozia, alle prese con un cinema ambulante.
Nel 2005 prende il via l’idea di trarre un film dalle pagine del volume The Story of Film, una storia del cinema “on the road”, per cui Mark Cousins viaggia in tutto il mondo. Quindici ore che raccontano la storia del cinema, dal pre-cinema ai giorni nostri, di tutti i continenti, con interviste inedite a personalità varie, con un punto di vista molto forte e personale, non storico in senso stretto e neppure accademico, ma registico, con un’attenzione particolare alla storia dell’innovazione linguistica, a come un autore non potrebbe esistere senza le immagini di altri autori che lo hanno preceduto, e dunque alla circolarità del cinema, ovvero a quanto esso si nutra di immagini che passano da un’opera all’altra entrando così nella storia viva del cinema, con il convincimento che la settima arte abbia il potere di riportare in vita ciò che non è più.
Un’avventura straordinaria, un’autentica follia cinefila, in cui emerge in tutta evidenza l’intento da parte del suo autore di riaccendere l’entusiasmo per una visione globale del cinema, per rimettere a posto alcuni tasselli mancanti e rintracciare una mappa della sua storia, spesso lacunosa e carente di opere provenienti da aree geografiche che non siano europee e statunitensi. Per riassumere il senso di questa Odissea, Cousins riporta di quando si è trovato nell’appartamento di Ėjzenštejn a Mosca e del momento in cui, parlando col custode della sua memoria, Naum Kleiman gli ha chiesto di spiegargli qualcosa che non aveva mai capito bene, il concetto di “natura non indifferente” di Ėjzenštejn. Kleiman gli riferisce di una poesia di Puškin, in cui racconta la sepoltura di un bambino alla quale la natura resta indifferente. Nel riprendere quella poesia, Ėjzenštejn osa andare contro una figura leggendaria come Puškin, sostenendo che la natura “non è indifferente” quando un cineasta la riprende, perché la macchina da presa coglie quello che l’autore prova per ciò che ha di fronte. E sempre Cousins conclude auspicando che in The Story of Film: An Odyssey (2011) lo spettatore possa “vederci stampate le nostre impronte, che sia all’altezza del soggetto che tratta. Insomma, che sia ‘non indifferente’.”
Dopo la regia nel 2012 di What Is This Film Called Love? il regista prosegue la sua ricerca lavorando sull’infanzia e la sua rappresentazione nel cinema e realizza The Story of Film. I bambini e il cinema (2013), un documentario che ha preso vita casualmente, filmando per undici minuti i propri nipoti mentre giocavano nel suo appartamento in Scozia.
Un film che mostra come il cinema di ogni epoca e Paese abbia immaginato e raccontato l’infanzia attingendo a cinquantatré film, celebri, come E.T. l’extra-terrestre (1982) o Il Monello (1921) e meno noti, come alcune pellicole iraniane e in particolare, Willow and Wind (1999) di Mohammad-Ali Talebi. Un lavoro che ne conferma ulteriormente il talento nell’individuare nuovi percorsi di studi, evitando l’ovvietà, e l’attenzione nello scoprire legami imprevedibili tra le opere. Successivamente realizza alcuni cortometraggi e documentari, tra cui I Am Belfast (2015) dove il regista fa ritorno alla città natale, dopo anni di assenza per raccontarla. L’attrice Helena Bereen passeggia per le strade del centro e le periferie, dialogando con Cousins nel fuori campo. Un film che attraverso immagini di repertorio, scene di vecchie pellicole, restituisce la complessità di una città e della sua popolazione, le sue ferite e il suo coraggio. Presentato al festival di Cannes nella sezione di “Cannes Classiques” (2018), Lo sguardo di Orson Welles è un biopic dedicato all’autore di Quarto potere. Il regista ha avuto accesso, grazie alla figlia, agli Archivi di Welles, in Michigan, dove ha trascorso diverso tempo e letto i suoi documenti. Il ritrovamento di disegni, schizzi e bozzetti da parte di Cousins, costituisce l’occasione di una rilettura del suo percorso umano e artistico, dall’infanzia alle sue ultime produzioni. Un racconto meticoloso, da cinéphile che ne conosce e omaggia l’opera. Col volume Storia dello sguardo, di recente uscito anche in Italia per il Saggiatore, il regista irlandese compie un vero e proprio montaggio dei momenti più significativi della nostra storia visiva, e ci racconta le ragioni del cambiamento del nostro modo di guardare nel corso dei secoli, un viaggio per parole e immagini che attraversa l’arte e la letteratura, il cinema e la fotografia, la tecnologia e la scienza.
Diviso in quaranta capitoli, Women Making Film: A New Road Movie Through Cinema (2018) si interroga su come si gira una sequenza di apertura, come si inquadra un’immagine, come si presenta un personaggio, il tutto attraverso spezzoni di film diretti da donne, registe famose ma anche moltissime sconosciute, provenienti da tutti i continenti. Realizzato nel corso di molti anni, può considerarsi come il prosieguo di The Story of Film.

Women Making Film: A New Road Movie Through Cinema (2019)