PRIMA PARTE
PIERO CALAMANDREI
LAPIDE AD IGNOMINIA
Lo avrai
camerata Kesserling
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costituirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati
dei borghi inermi e straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità.
Non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro di ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato tra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
su questre strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ORA E SEMPRE RESISTENZAScritta da Calamandrei, tra i fondatori del Partito d’Azione, in memoria di Duccio Galimberti nel 1952, ottavo anniversario del suo assassinio, la celebre epigrafe è in risposta a Kesserling, comandante delle forze naziste in Italia, condannato per crimini di guerra (Fosse Ardeatine, Strage di Marzabotto e altre), che liberato per presunte gravi condizioni di salute, per nulla pentito dichiarò che gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento.
VIVI E PRESENTI CON NOI
Vivi e presenti con noi
finché in loro
ci ritroveremo unitimorti per sempre
per nostra viltà
quando fosse vero
che son morti invano
SALVATORE QUASIMODO
ALLE FRONDE DEI SALICI
E come potevamo noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
IL MIO PAESE È L’ITALIA
Più i giorni s’allontanano dispersi
e più ritornano nel cuore dei poeti.
Là i campi di Polonia, la piana dì Kutno
con le colline di cadaveri che bruciano
in nuvole di nafta, là i reticolati
per la quarantena d’Israele,
il sangue tra i rifiuti, l’esantema torrido,
le catene di poveri già morti da gran tempo
e fulminati sulle fosse aperte dalle loro mani,
là Buchenwald, la mite selva di faggi,
i suoi forni maledetti; là Stalingrado,
e Minsk sugli acquitrini e la neve putrefatta.
I poeti non dimenticano. Oh la folla dei vili,
dei vinti, dei perdonati dalla misericordia!
Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.
Il mio paese è l’Italia, o nemico più straniero,
e io canto il suo popolo, e anche il pianto
coperto dal rumore del suo mare,
il limpido lutto delle madri, canto la sua vita.
BEPPE FENOGLIO
Da APPUNTI PARTIGIANI
– Tòrnaci. Se te la senti, tòrnaci. Ma sappi che ogni volta passeranno con camion e mitraglie e cani per quelle colline dove tu sarai, io mi sentirò morire. Ora vai.
Abbraccio mia madre, non stretta, che non senta col petto la pistola che mi sforma una tasca…
È già buio e molto freddo. Non c’è luna, ma spunterà? Risalgo la provinciale Alba-Acqui per un duecento metri, taglio in un prato in salita e sono sulla stradina di San Rocco. Lì stacco il mio bel passo da campagna; paiono viaggiare con me le colline alla mia destra, che guardano la mia piccola città tenuta da loro. Ci vive la ragazza di cui sono, sarò sempre innamorato…
Se m’ammazzano, posso sperare che lei senta qualcosa rompersi dentro e venga sù per le colline a cercarmi tra amici e nemici, ululando come una lupa? Mi ritroverà lungo, lunghissimo sopra la neve e mi bacerà tra sangue e gelo…
…Cascina della Langa porta un’idea di tramontana e solitudine… ci passerò tre mesi d’ogni anno che mi resterà. A patto che sposi quella tale ragazza, se no non se ne fa niente. Se no, ci verrò da solo, a piedi, una volta all’anno, un giorno qualsiasi d’inverno, e cercherò di riprovare quel freddo, di fare pressappoco le cose e i passi e i pensieri che devo aver fatti in un’eguale giornata dell’inverno 44-45. E speriamo che i mezzadri che ci saranno allora, mi lascino fare, non mi vengano dietro con troppo sospetto né pretendano troppe spiegazioni. Ogni inverno ci verrò, come a un anniversario, fino a quando sarò così vecchio e stanco da dubitare per un momento che un giorno da queste parti io vi abbia tanto camminato e combattuto. E questo m’avvertirà che il prossimo inverno non potrò risalire a toccare i muri della vecchia Langa…
EMANUELE ARTOM
Ancora andare. Vivere la guerra
sotto la pioggia ed una sorte ignota;
sempre pestare questa grigia terra,
sempre pestare questa fredda mota.
E’ la prima strofa che Artom compone per una lirica da dedicare ad un compagno caduto nel dicembre del ’43. Partigiano in Val Pellice e Val Germanasca, Emanuele Artom è catturato dai nazisti il 25 marzo 1944. Riconosciuto come ebreo oltre che commissario politico di “Giustizia e Libertà”, viene orribilmente torturato, e muore il 7 aprile nelle Carceri Nuove di Torino.
ANDREA ZANZOTTO
LIRICA IN RICORDO DI DIECI PARTIGIANI FUCILATI DAI NAZIFASCISTI
Oggi la neve sul bianco del collo
ha un filo di sangue
che viene dalle vene di dieci morti …
Zanzotto partecipa alla Resistenza veneta aderendo alle Brigate “Giustizia e Libertà” occupandosi della stampa e della propaganda.
PIER PAOLO PASOLINI
LA RESISTENZA E LA SUA LUCE
Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l’ Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce…Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un’alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge.
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l’alba nascente fu una luce
fuori dall’eternità dello stile…
Nella storia la giustizia fu coscienza
d’una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
ALFONSO GATTO
25 APRILE
La chiusa angoscia delle notti, il pianto
delle mamme annerite sulla neve
accanto ai figli uccisi, l’ululato
nel vento, nelle tenebre, dei lupi
assediati con la propria strage,
la speranza che dentro ci svegliava
oltre l’orrore le parole udite
dalla bocca fermissima dei morti
“liberate l’Italia, Curiel vuole
essere avvolto nella sua bandiera”:
tutto quel giorno ruppe nella vita
con la piena del sangue, nell’azzurro
il rosso palpitò come una gola.
e fummo vivi, insorti con il taglio
ridente della bocca, pieni gli occhi
piena la mano nel suo pugno: il cuore
d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
FRANCO FORTINI
CANTO DEGLI ULTIMI PARTIGIANI
Sulla spalletta del ponte
Le teste degli impiccati
Nell’acqua della fonte
La bava degli impiccati.
Sul lastrico del mercato
Le unghie dei fucilati
Sull’erba secca del prato
I denti dei fucilati.
Mordere l’aria mordere i sassi
La nostra carne non è più d’uomini
Mordere l’aria mordere i sassi
Il nostro cuore non è più d’uomini.
Ma noi s’è letta negli occhi dei morti
E sulla terra faremo libertà
Ma l’hanno stretta i pugni dei morti
La giustizia che si farà.VALDOSSOLA
E il tuo fucile sopra l’erba del pascolo.
Qui siamo giunti
siamo gli ultimi noi
questo silenzio che cosa.Verranno ora
verrannoE il tuo fucile nell’acqua della fontana.
Ottobre vento amaro
la nuvola è sul monte
chi parlerà per noi.Verranno ora
verranno.Inverno ultimo anno
le mani cieche la fronte
e nessun grido più.E il tuo fucile sotto la pietra di neve.
Verranno ora
verranno.16 ottobre 1944
La lirica è dedicata alla Repubblica libera della Val d’Ossola, uno degli episodi più importanti della Resistenza italiana (medaglia d’oro al valore militare) messa a tacere da un terribile rastrellamento fascista con l’appoggio di formazioni tedesche.
GIANNI RODARI
LA MADRE DEL PARTIGIANO
Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.
Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.
Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.
RENATA VIGANÒ
Da L’AGNESE VA A MORIRE
…Erano molti, pareva che uscissero dalla terra, tanto si moltiplicavano le loro facce grigie, inespressive e feroci, tanto si allungavano le loro file rigide, come fatte di legno: uomini di legno, e pareva impossibile che avessero dietro di loro un’infanzia, una casa, un paese dove erano nati. Sembravano creati così, adulti, armati, a serie, a reggimenti, pronti per fare la guerra.
…Il Comandante, Clinto e ‘La Disperata’ tornarono nel pomeriggio, si trassero dietro un’ondata di freddo. Il cielo era lontano e sereno, il gelo si stabiliva nell’aria, era una cosa solida, luminosa, trasparente, che levava il fiato. Aveva un odore sano, sincero, l’odore delle pure sete d’inverno nei grandi spazi di campagna senza case, di acque senza barche. Quelli che venivano di fuori lo portavano nei vestiti, nei gesti, nel respiro: sembrò spento anche il fuoco ronzante della stufa.
Renata Viganò ha partecipato alla lotta partigiana nelle valli di Comacchio e in Romagna come infermiera, staffetta garibaldina e collaboratrice della stampa clandestina.