Lei ha vissuto in città diverse, in Italia, ma non solo…
Io sono nato a Firenze, ho lasciato Firenze a due anni, e ho vissuto l’infanzia e la giovinezza a Torino. Poi sono andato a studiare all’Università alla Scuola Normale di Pisa. Dopo la Scuola Normale sono andato in Germania a Monaco di Baviera a fare il lettore d’italiano. Poi di lì sono tornato a Roma, nel ’54, e da allora vivo sempre qua.
Mi pare che lei sia stato anche a Zurigo… Cosa ricorda di più degli anni della sua formazione?
Sì, sono stato anche a Zurigo, un anno di borsa di studio. Ma… mi ricordo soprattutto gli anni della Normale, che sono stati anni molto utili, dove imparavamo molto. Alla Normale noi avevamo due obblighi: da un lato dovevamo fare gli esami all’Università, ma, molto più importante, dovevamo scrivere delle tesine, cioè degli studi specialistici all’interno della Normale. Io alla Normale ero amico di un grande filosofo classico, Giorgio Pasquali e allievo di un italianista, Luigi Russo, e di un eccellente storico che si chiamava Delio Cantimori.
Di un autore -ha affermato-, le interessa cogliere il momento in cui da uomo qualunque si trasforma in scrittore. Lei quando è diventato scrittore, quando ha iniziato a collaborare con i giornali?
Forse sì, è difficile dirlo… io prima ero uno studioso, uno che si serviva soprattutto dell’analisi, e poi a un certo punto ho trasformato l’analisi in racconto. Tutta la mia critica letteraria è una trasformazione dell’analisi, dell’analisi del testo, in un rifacimento narrativo.
Dagli anni cinquanta in avanti, lei è stato protagonista e testimone di momenti densi della cultura italiana, penso alla Roma della Dolce vita di Fellini…
Sì, io ero molto amico di vari scrittori, Italo Calvino, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni… e amico anche di un grande regista come Fellini. Non al tempo della Dolce vita, allora non lo conoscevo ancora, ma negli anni successivi, a partire dal Casanova.
E Pasolini?
Pasolini lo conoscevo bene, eravamo molto amici, specie quando era giovane, meno amici più tardi, quando cominciò a fare i film che io non amavo e si perse… fino a quando lo uccisero.
Lei conosceva anche Giorgio Bassani…
Benissimo, Bassani lo conoscevo molto bene, era un mio grande amico. Lo vedevo molto spesso e amavo molto i suoi racconti. Mi ricordo che forse la prima recensione che io feci fu alla Passeggiata prima di cena, che era la prima raccolta dei suoi racconti.
E conosceva bene Manganelli…
Anche Manganelli, benissimo, eravamo molto amici e andavamo due o tre volte alla settimana a cenare insieme, vicino a Porta Pia, chiacchieravamo molto, e lui veniva molto spesso a casa mia, avevamo in comune l’interesse per la critica e la scrittura.
Se non sbaglio il Gruppo 63 bersagliò molto Giorgio Bassani…
Sì, ma il Gruppo 63 fu una cosa molto stupida, Giorgio Bassani era un grande scrittore, mentre il Gruppo 63, cioè soprattutto alcuni di loro, non lo erano affatto.
Lei ha collaborato con Attilio Bertolucci…
Molto, eravamo molto amici con Attilio Bertolucci, ci facevamo una telefonata ogni mattina, era un grande poeta… Allora io collaboravo con Livio Garzanti, e così Bertolucci, collaborava anche lui con Garzanti.
E Gadda?
Gadda era un grande amico, era il più grande scrittore italiano in prosa del XX secolo, e io ho pubblicato cose sue, l’ho molto aiutato, ammesso che avesse bisogno di essere aiutato…
Nel tempo lei ha conosciuto molti scrittori, studiosi, intellettuali, tra gli altri il filosofo rumeno Emil Cioran…
Emil Cioran, sì, quando passai uno o due anni a Parigi, allora lo frequentavo molto. Cioran era un grande moralista, probabilmente il più grande stilista della sua generazione, che era la generazione stessa di Simone Weil.
Ne ha parlato anche sulle pagine di “Repubblica”.
Sì, ho scritto spesso di Cioran, ho scritto quattro o cinque articoli su di lui.
Conosceva anche la moglie?
Sì, la moglie Simone. Cioran morì e poi Simone si annegò… Siccome era una bravissima nuotatrice, credo si lasciò morire… intenzionalmente.
Lei conosceva Elémire Zolla, storico delle religioni e studioso di mistica…
Molto bene. Eravamo amici da Torino… Lui aveva tre anni più di me, quando io avevo sedici anni, lui ne aveva diciannove, e ci vedevamo spessissimo. Io andavo a trovarlo a casa sua, in via Pesaro, in periferia di Torino, e lì chiacchieravamo molto. Poi l’ho indotto a venire a Roma, dove lui collaborava sia allo “Spettatore Italiano” di Elena Croce sia a “Tempo Presente” la rivista di Chiaromonte, e conobbi bene anche la donna che lui amava, cioè Vittoria Guerrini, che si faceva chiamare Cristina Campo, era una grande scrittrice, la più grande scrittrice italiana.
E Héctor Bianciotti?
Héctor Bianciotti l’ho conosciuto negli anni in cui ho vissuto a Parigi. Fra gli scrittori francesi conoscevo e conosco Gérard Macé, conoscitore eccellente, poi… Georges Perec, autore di un bellissimo romanzo La vie mode d’emploi.
Quali figure di area europea le sono rimaste più impresse?
Ma… soprattutto Italo Calvino e Carlo Emilio Gadda, quelle sono le persone alle quali sono stato più legato.
Nelle sue opere, tra personaggi e luoghi della storia, della mitologia, di civiltà lontane, opere letterarie e artistiche, racconta spesso l’Italia e gli italiani. Lei ha scritto: “Tutta la nostra civiltà è fondata sul rifiuto dell’anima(…) Senza questo grandioso rifiuto dell’anima, forse lo splendido edificio della forma italiana non sarebbe mai esistito”.
Sì, io penso che la psicologia moderna sia un’invenzione soprattutto francese, inglese e tedesca; la cultura italiana, a partire dal Rinascimento, non è interessata all’anima, ma alla forma, questo è il segno della grande pittura italiana.
Ecco, per restare all’identità culturale italiana, la nostra ricchezza è dovuta in gran parte alla memoria, che sia artistica, musicale, letteraria…
Certo….
Eppure, a partire dalla scuola e dai mezzi di comunicazione, sembra che non se ne tenga troppo conto, che a differenza di altri Paesi europei, da noi la memoria culturale non sia ritenuta un grande valore. Lei cosa ne pensa?
Sì è vero, è vero perché… mentre uno scrittore francese ricorda tutta la letteratura francese, a partire da Montaigne a Racine, a Pascal, a Proust, la nostra cultura è piuttosto senza memoria.
È curioso, non crede, considerato che, ad esempio, sul piano linguistico non ci sono state nemmeno grandi innovazioni…
Ma sa, la lingua italiana… noi dobbiamo tenere conto che nel Cinquecento la lingua italiana era la lingua più conosciuta in Europa, veniva parlata in Francia, in Inghilterra, dappertutto, è soltanto più tardi che la lingua italiana è diventata una lingua secondaria.
Oggi a livello internazionale viene considerata più che altro lingua del melodramma, dell’opera lirica…
Beh… quello è molto importante, la lingua del melodramma, l’italiano è dal Settecento che è così. Ancora oggi, se si vuole sentire Mozart o Verdi si deve conoscere l’italiano.
Più volte si è detto che l’evoluzione del romanzo italiano è stata condizionata da orientamenti culturali che hanno imposto determinate scelte, a discapito di una ricchezza letteraria più articolata, che pure esisteva …
Il romanzo italiano nel Novecento è stato un grande romanzo, uno dei massimi romanzi europei, il Pasticciaccio e La cognizione del dolore… Gadda è uno strepitoso scrittore, e abbiamo avuto Bassani che è stato eccellente, Cassola ha scritto delle cose ottime…
E per quanto riguarda gli scrittori italiani contemporanei?
Adesso non c’è un granché, adesso ci sono più che altro romanzieri… Ma c’è Albinati che è bravo… c’è un poeta molto bravo che è Giuseppe Conte. L’ultimo grande scrittore che io ricordi è Calvino.
Lei conosceva bene Calvino.
Io ero molto amico di Italo Calvino… l’ho conosciuto quando avevo diciassette anni e lui ne aveva ventitre. Da allora ci siamo sempre frequentati. Quando lui era a Parigi, io ero a Parigi, quando lui era a Roma, io ero a Roma; lui acquistò una villa al mare, a Roccamare Castiglione della Pescaia, e io avevo una villa nello stesso posto. E lo vidi l’ultimo giorno, quando ebbe un colpo e fu portato a Siena, dove morì. Io mi ricordo ancora degli ultimissimi giorni della sua vita. Un grande dolore è stato per me la sua morte.
C’è un documentario su Calvino di Damian Pettigrew, Dans la peau de Italo Calvino, al quale lei ha preso parte…
Sì, mi hanno intervistato… in quel film hanno intervistato sia Calvino che me.
Italo Calvino è lo scrittore italiano che nel mondo continua ad essere più conosciuto.
Sì, molto noto, molto tradotto, lo scrittore italiano più conosciuto e più tradotto, più di Gadda, sebbene Gadda sia uno scrittore più grande di lui.
Forse anche per le sue Lezioni americane…
Anche… erano bellissime le Lezioni americane, e sono uscite subito dopo la sua morte. Io lo incontrai appunto gli ultimi giorni della sua vita, e mi disse: “Ho scritto sei lezioni, devo scriverne ancora una, la scriverò negli Stati Uniti.” Ma si rammaricava, diceva: “ho fatto male a scriverle, io sono uno scrittore, dovevo scrivere racconti, non dovevo scrivere della critica.”
Recentemente è stato ripubblicato il suo libro La morte della farfalla. Zelda e Francis Scott Fitzgerald…
La morte della farfalla è il racconto piuttosto che l’analisi dell’arte di Fitzgerald, è il racconto della vita di Fitzgerald e di sua moglie Zelda. È un libro piccolo e abbastanza divertente.
L’hanno colpita queste due figure, questa coppia americana divenuta leggenda dell’”Età del jazz”, della “Generazione perduta”?
E beh, sono grandi figure… Lui è stato un grande, il più grande, Tenera è la notte è il più bel romanzo americano del secolo scorso.
E la sua opera su Leopardi?
A Leopardi ho dedicato un libro che forse è il mio migliore libro come critico letterario. Comincia dal padre, dalla madre e lo segue in tutta la sua attività di grandissimo poeta, fino alla morte a trentanove anni a Napoli.
Lei ha scritto Israele e l’Islam. Le scintille di Dio, un libro uscito nel 2003, un viaggio nel cuore di Israele e dell’Islam, attraversando ventisette secoli di storia e di letteratura, che giunge al Novecento e all’antisemitismo cristiano e musulmano. Oggi viviamo un momento segnato dalla violenza compiuta in nome della religione, può dire qualcosa in proposito?
Ma… è un libro mio per cui ho molta simpatia, perché ho molto studiato la cultura ebraica, già la cultura ebraica medievale e quella secentesca, ed è un po’… io la sento come una parte della mia stessa cultura. Ora la situazione attuale del terrorismo è una lotta politica, da parte di terroristi islamici, non è più una questione di cultura…
E la sua ultima opera, Sogni antichi e moderni?
È una raccolta di saggi che, a dire il vero, non ha una grandissima unità, incomincia con Il libro di Giobbe e il Cantico dei cantici, cioè i capolavori della Bibbia, attraversa la storia antica, la letteratura antica, Ovidio, il Medioevo, e poi parla a lungo di artisti come Baschenis, come Fra’ Galgario e infine arriva all’Ottocento di Stendhal, di Balzac, di Nietzsche, e l’ultimo scrittore di cui parlo è un grande teologo tedesco luterano che si chiamava Dietrich Bonhoeffer, un grande teologo che Hitler fece uccidere.
Nel capitolo Sogni antichi e moderni, lei racconta un sogno, un tramite fra il mondo dei vivi e quello dei trapassati…
Io ho fatto un paragone tra il grande sogno della letteratura classica, narrato nel ventitreesimo libro dell’Iliade, il sogno più bello della letteratura greca ed occidentale, Achille che sogna Patroclo, e il sogno moderno invece, quello razionalizzato da Freud… Sono cose molto diverse.
Da decenni lei scrive sulle pagine culturali d’importanti quotidiani italiani…
Io ho vissuto tutta la mia vita scrivendo sui giornali… ho cominciato quando avevo trent’anni scrivendo sul “Giorno”, che era allora un giornale molto buono di Milano, e ho scritto molto a lungo, invitato da Eugenio Scalfari, su “Repubblica”, e ora scrivo sul “Corriere della sera”.
Come sono stati gli anni della sua collaborazione con “Repubblica”?
E’ stata una buonissima collaborazione con “Repubblica”, specialmente con Scalfari, che era un grande direttore di giornali e ci invitava a scrivere, suggeriva argomenti, discuteva gli articoli scritti.
E con il “Corriere della sera”?
Il “Corriere della sera” come “Repubblica” sono fatti bene, sono due eccellenti giornali. Ora il rapporto è un po’ meno intenso, ma comunque io scrivo molto, scrivo una quarantina di articoli all’anno, che sono molti.
Lei ha avuto riconoscimenti internazionali.
Beh sì, ho avuto dei riconoscimenti, specie in Francia, in Brasile, ma insomma non sono importanti.
Molti problemi affliggono oggi la capitale. Oltre ad essere sfondo di passeggiate e riflettere echi del passato, secondo lei Roma può ancora essere un centro, una capitale, per la cultura?
Ma non so… ho l’impressione che sia molto meno decaduta di quanto si dica… Io l’amo molto, anche se, certo, ha dei problemi continui col Comune, con cattive amministrazioni, ma ho l’impressione che si risolveranno meglio di quanto non immaginiamo.
Non vede tutto il decadimento di cui si parla…
Non vedo tanto pessimismo.
Lei ha vissuto a lungo a Parigi, come si è trovato?
A Parigi vissi molto volentieri, avevo molti amici … è la città europea in cui ho vissuto più volentieri. Più ancora di Monaco dove sono stato molto bene. A Parigi ho un grande amico, che è un eccellente studioso, si chiama Marc Fumaroli.
Un ambiente un po’ diverso rispetto a quello italiano…
Sì… quello francese è più vivo di quello italiano, l’Italia è un po’ noiosa adesso. E Parigi è una città più internazionale di Roma.
(16 gennaio 2017)