Conversazione con Abbas Kiarostami a cura di Luisa Ceretto
Come inizi a lavorare su di un film, quali sono gli elementi da cui trai spunto?
La costruzione per qualsiasi film dipende dal soggetto, così come dalle emozioni e dai sentimenti. Quando comincio a fare un film parlo molto con le persone coinvolte, credo che il lavoro vada fatto giorno per giorno, con le emozioni che provengono dagli attori non professionisti, dal soggetto e dalla memoria che ho delle mie stesse emozioni.
Nei tuoi film ci sono temi ricorrenti, il mondo infantile è uno di questi …
Come sai ho iniziato il mio lavoro facendo film per bambini, per l’Istituto Kanun (1). I bambini all’inizio non hanno rappresentato le mie emozioni, né i miei sentimenti, ma soltanto un lavoro commissionato dall’Istituto, un impegno in qualità di regista. Poco a poco, però, ho trovato in me stesso qualcosa che mi ha avvicinato molto a loro, forse perché era un modo per pensare alla mia infanzia e per sentirmi vicino alla gente. Anche la nascita di mio figlio ha avuto il suo peso. Se all’inizio, come ho detto, si è trattato soltanto di un lavoro su commissione, il rapporto successivamente è cambiato. Ecco perché i miei film ruotano spesso intorno al mondo infantile. Adesso è da tempo che non lavoro coi bambini, che non li ho più davanti alla cinepresa, e comunque vorrei poter guardare il mondo con il loro sguardo. Dopo aver lavorato per anni con loro, ho imparato che sono molto più adulti degli adulti. Se c’è qualcosa che accomuna i miei film e forse lo si percepisce vedendoli, penso che abbia a che fare con il modo di vedere dei bambini.
Hai detto che dalle difficoltà che ti pongono gli attori, tu puoi imparare molto. Cosa intendevi dire?
Appena ho qualcosa in mente la scrivo. Non sempre i personaggi immaginati nella mia mente riescono a trovare un corrispondente nella realtà. Cerco di avvicinarmi il più possibile al mio ideale. È molto difficile cambiare i personaggi una volta che li hai pensati, tuttavia cerco di farlo. In realtà più che cambiare i personaggi cambio me stesso, nel senso che cerco di essere più vicino a loro e di imparare da loro. Attualmente quando giro la prima scena, se l’attore di fronte alla cinepresa è molto rilassato e dice le cose in modo corretto, significa che anche la mia posizione è quella giusta. Se invece non avviene così, vuol dire che tra me e lui c’è qualcosa di sbagliato e cerco quindi di modificare o il mio punto di vista o quello della persona che ho di fronte. Se dopo tre volte non riesco a girare la scena e ad ottenere ciò che vorrei, mi rendo conto che veramente qualcosa non funziona e che bisogna fare dei cambiamenti. Gli attori non professionisti mi correggono sia come sceneggiatore, che, talvolta, come regista. Se, ad esempio, dico ad un attore di andare e di saltare da qui fino a lì e avverto la sua preoccupazione nel fare un’azione che nella vita reale non farebbe, cerco di modificarla, trovando una diversa soluzione.
Da ciò che hai affermato, sembra che tu tragga molta energia dal lavoro sul set con gli attori e che ne sia come affascinato …
Sì, sono pieno di emozioni e di energie durante la lavorazione di un film, soprattutto quando trovo qualcosa di nuovo, ad esempio in un personaggio. Quando scrivo in modo molto attento e preciso, posso essere felice per un giorno o due … però dopo la preparazione di un film -che dura un po’ più di due mesi- , nel momento in cui voglio iniziare le riprese sono senza energie, perché tutto quello che ho scritto nello script ormai lo conosco. Quindi desidero, spero ogni giorno di poter trovare qualcosa di nuovo rispetto alla pagina scritta, in quel caso sono molto felice …
Nei tuoi film trasferisci questo speciale sentimento che nasce durante la lavorazione. Persino la cinepresa entra nel film, come se fosse un personaggio …
Cerco di non scrivere mai uno script molto preciso. Quando vedo i miei film, talvolta mi accorgo di aver aggiunto una sequenza rispetto a quanto avevo previsto, che ho trovato mentre stavo girando. Ad esempio, in E la vita continua una donna mi ha chiesto di poter partecipare al mio film, io, però, non avevo alcuna idea di cosa farle fare. Ho accettato, lei è venuta con noi e, una volta arrivati sul luogo delle riprese, ho pensato che sarebbe potuta comparire in una scena dove lavava dei pantaloni. Poi mi è venuto in mente qualcosa di diverso, potevo sviluppare un soggetto, l’ho trovato e le ho chiesto se poteva fare ciò che le stavo proponendo ed ha accettato. E lo ha fatto molto bene e l’idea si sarebbe potuta ulteriormente sviluppare. Così facendo, una sequenza di circa sei minuti era venuta fuori da sola … Cerco sempre qualcosa che emerga dal personaggio, dall’atmosfera, dalla gente, certe volte anche da persone che si trovano lontano dalla cinepresa. Prendo tutto e lo pongo di fronte ad essa e continuo a girare. A volta anche solo un passante, cammina, io lo vedo e lo riprendo, magari gli chiedo se può fare qualcosa.
Come regista, dopo aver creato una storia, puoi costruirne molte altre, i tuoi attori, invece, vivono quella sola storia, e poi ritornano ad una quotidianità non sempre facile …
Io torno spesso nei luoghi dove ho girato i miei film. Per esempio, terminato Sotto gli ulivi, sono andato a salutare uno ad uno i miei attori, Hossein, Taorè e gli altri. Penso che lo sappiano che si tratta di una sola volta, durante tutta la lavorazione del film io ricordo loro che non sono artisti. Per esempio ad Hossein, che in Sotto gli ulivi è il ragazzo che porta il tè, anche nel corso delle riprese, come si può vedere nel film, dopo ogni ciak io gli chiedo di dare il tè alle persone. Così facendo non c’è distinzione tra il lavoro ed il personaggio, non volevo che lui credesse che il suo personaggio e la sua vita potessero cambiare, doveva essere chiaro che si trattava di una volta soltanto. Anche se per me la situazione è diversa rispetto a quella dei miei interpreti, mi chiedo spesso se non sia preferibile fare un bel sogno una notte e poi svegliarsi con quel ricordo, piuttosto di farne uno brutto. Il mattino successivo avrai due differenti sensazioni. Se hai avuto un brutto sogno, avrai un brutto ricordo e non vorrai più farne, perché pensi che l’indomani sarà necessario, per recuperare energie, essere molto più felice del giorno precedente. Per tutti i personaggi dei miei film, potrebbe essere come un sogno, perché non è la realtà, bisogna tenere ben separati i piani. Sono un regista, devo andare ovunque e avere molte esperienze, fare nuovi film. Non posso lavorare con un unico interprete per sempre. Ho detto ad Hossein che poteva venire con noi, avere una buona esperienza sul mio prossimo film, ma che sarebbe stato per breve tempo. È sempre meglio avere un buon ricordo rispetto ad uno cattivo. I sogni sono molto importanti e nella vita ne puoi avere bisogno. Io invito le persone a venire sui miei set per due o tre mesi, oltre quel periodo, non posso assumermi alcuna responsabilità …
Si ha l’impressione, a partire da Close up a Il sapore della ciliegia, che tu voglia in qualche modo evidenziare i meccanismi della finzione, la messa in atto della rappresentazione. Come tu stesso hai più volte dichiarato, ciò che ti interessa maggiormente è la verità, che non ha necessariamente a che vedere con la realtà. Spesso, invece, a proposito del tuo cinema, si parla di realismo, come se fosse il registro fondamentale dei tuoi film …
Sì, hai ragione. Il mio cinema sovente viene frainteso, non è basato sulla realtà, o meglio, anche se lo può essere, non significa che sia realistico. I miei film prendono spunto dalla realtà, ma non si lasciano racchiudere, cercano di trovare un modo nuovo per allontanarsi da essa. Come ha affermato Godard, “la realtà è un film che è stato fatto molto male”… Veramente non mi piace la realtà, perché il cinema è come un sogno, quando ti avvicini ad esso è perché ti sei stancato della vita reale.
Note:
1) intervista rilasciata al Festival di Locarno nel 1997 e pubblicata nel Quaderno del Lumière, Sguardi sull’Iran
2) Istituto per lo Sviluppo Intellettuale dei bambini e degli adolescenti di Teheran.
Locarno, 15 agosto 1997
Dal Quaderno n. 23, “I Quaderni del Lumière” SGUARDI SULL’IRAN, a cura di Luisa Ceretto e Andrea Morini, novembre 1997
Il Quaderno è stato pubblicato in occasione dell’omonima rassegna Sguardi sull’Iran curata da Luisa Ceretto e Andrea Morini, è stata presentata a Milano, Modena, Bologna, Firenze, Torino, Reggio Emilia, Venezia, Genova e Roma dal 19 novembre 1997 al 20 aprile 1998, organizzata dalla Mostra Internazionale del Cinema Libero, Cineteca di Bologna, Farabi Cinema Foundation
LUISA CERETTO, critico cinematografico, fiduciaria Gruppo Emiliano SNCCI, lavora presso la Cineteca di Bologna. Coautrice di varie monografie cinematografiche (dedicate fra gli altri a Hou Hsiao-hsien, Marco Bellocchio, Emir Kusturica, Patrice Leconte), autrice di interviste a Daniel Schmid, Jack Cardiff, Edgar Reitz, Bertrand Tavernier, Peter Greenaway, Istvan Szabò, Mark Cousins, Benoît Jacquot, Claude Goretta, collabora con la rivista “Cinecritica”, è nella redazione de “Il ragazzo selvaggio”. Ha curato insieme ad Andrea Morini la rassegna Sguardi sull’Iran, promossa dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Farabi Cinema Foundation (novembre 1997- aprile 1998) in diverse città italiane, un focus sul cinema iraniano degli anni novanta, con la presenza di alcuni dei suoi più significativi autori, da Dariush Merjui, Bahrman Beizai, a Jafar Panahi; nell’omonimo “Quaderno del Lumiere”(n. 23) sono pubblicate le sue interviste ad Amir Naderi e Abbas Kiarostami.
ANNA ALBERTANO, scrittrice e autrice di raccolte di poesia. Ha intervistato e tradotto autori stranieri fra cui il Premio Nobel Nagib Mahfuz e Assia Djebar. Fra le sue opere, Progressivo silenzio (98), Notre-Tanz (2002), Dialoghi di un mattino di fine millennio (2006), La notte di San Giorgio (2007), Dando il blu (2009), Stagioni promesse (2013), Lettere d’Occitania (2015). Autrice di filmati, è tra i fondatori dell’Associazione Culturale Zeicon e di MC. Archivio. E’ ideatrice dell’evento Il sapore della poesia in Abbas Kiarostami.
FAEZEH MARDANI, insegna Lingua e letteratura persiana moderna e contemporanea all’Università di Bologna. Ha pubblicato il Vocabolario Persiano-Italiano-Persiano (Milano, 2000) e Parlo persiano (Milano, 2002) presso la Casa editrice A. Vallardi. Ha tradotto in italiano le poesie della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad E’ solo la voce che resta (Aliberti ed., 2009) e l’ultima raccolta di poesie di Abbas Kiarostami Il vento e la foglia (Le Lettere, 2014).
GABRIELE VEGGETTI, critico cinematografico e didatta dei mezzi audiovisivi. Insegna Storia e Critica del Cinema presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Bologna. Collabora con la Cineteca di Bologna nel cineclub “Schermi e Lavagne”. Ha realizzato con Antonio Saracino il documentario Mauthausen115523-la Memoria Necessaria sulla vita del sopravvissuto Armando Gasiani, e nel 2013 Quello che resta sul graffito Nannetti di Volterra.
BABAK KARIMI, figlio di Nosrat Karimi, attore, regista e drammaturgo e di Alam Danai, attrice teatrale e regista. Debutta sul grande schermo a dieci anni nel film Doroshkechi diretto dal padre, successivamente è protagonista di numerosi spot pubblicitari. Dal 1971 si trasferisce in Italia dove studia all’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione “Roberto Rossellini”. Dal 1991 svolge un lavoro di promozione del cinema iraniano in Italia, curando il doppiaggio di film di Abbas Kiarostami, Mohsen Makhmalbaf, Jafar Panahi, Abolfazl Jalili e Asghar Farhadi. Vincitore dell’Orso d’argento come miglior attore al Festival di Berlino 2011 nel film Una separazione, è interprete anche nei film Il passato e Il cliente di Farhadi.
AMIR NADERI. Tra le figure più influenti del Nuovo cinema iraniano, insieme ad Abbas Kiarostami, Amir Naderi si è affermato con film quali Davandeh (Il corridore, 1985) e Ab, Bad, Khak (Acqua, vento, sabbia 1989). Dalla metà degli anni ottanta Naderi si trasferisce a New York dove prosegue l’attività registica. Il suo nuovo film Monte, in prima mondiale a Venezia 2016,Il 5 settembre 2016 in Sala Grande, prima della proiezione del film, Monte, all’autore è stato consegnato il premio Jaeger-LeCoultre, dedicato a una personalità che abbia segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo.