Je travail dépuis très longtemps, je n’ai pas fait une carrière d’argent… je n’ai pas eu de succès d’argent, mais j’ai etée connue… Je suis connue et reconnue et appreciée, donc mon travail n’est pas dans l’ombre, mais… dans la discretion…
Agnès Varda al ricevimento del Premio Oscar onorario
Con una onorata carriera ultrasessantenne di cinema, il percorso artistico di Agnès Varda restituisce l’idea della perfetta simbiosi di vita e cinema, di amore profondo per l’arte e di impegno nel sociale che ne caratterizza l’opera. Di origine greco-francese, nata nel 1928, in Belgio, ma trasferitasi con la famiglia durante il secondo conflitto mondiale a Sète, nel sud della Francia, Agnès Varda si iscrive successivamente a Parigi alla Scuola del Louvre e contemporaneamente segue i corsi di fotografia alla Scuola di Vaugirard.
Fotografa di Jean Vilar, creatore del festival di Avignone, dove collabora nel 1948, in seguito lavora con la troupe del Théâtre National Populaire al Palais de Chaillot di Parigi. Nel 1954 realizza la prima esposizione personale e al contempo si cimenta nella regia cinematografica, senza una formazione specifica. Nello stesso anno crea una cooperativa, la società di produzione Ciné-Tamaris con cui darà inizio alla propria attività cinematografica. Sin dai sui esordi nel mondo della settima arte, da La pointe courte, nel 1954, ma soprattutto con Cléo de 5 à 7, Agnès Varda si ritaglia un posto di tutto rispetto tra gli autori della Nouvelle Vague, al fianco di François Truffaut, Alain Resnais, Jean-Luc Godard, Eric Rohmer. La sua produzione prosegue nei decenni successivi, alternando lungometraggi a corti, film di fiction a documentari, ottenendo numerosi e importanti premi a livello internazionali. Fotografa di formazione, Agnès Varda si affaccia nel nuovo millennio, proseguendo la propria carriera cinematografica nella direzione dell’indagine sociale ma con un’attenzione per la ricerca. Attenzione verso l’innovazione linguistica, grazie anche all’avvento del digitale e alle nuove opportunità che questo mezzo può offrire al mondo del cinema, senza con questo perdere di vista una poetica dalla dimensione fortemente intima. Sempre più spesso, i suoi lavori, perlopiù documentari, sul piano formale sono anche una sorta di “journal intime”, di diario personale per quel “parti pris” nell’imprimere una scrittura personale senza con questo perdere di vista l’urgenza e la serietà degli argomenti che via via affrontano i propri lavori. Dopo l’intenso Les Glaneurs et la glaneuse (2000) – in cui tratta, per l’appunto, il tema degli sprechi della civiltà dei consumi e di chi, ai bordi di una società sempre meno attenta e indifferente verso i più deboli, grazie ad essi riesce a sopravvivere – segue un Deux ans après, un racconto su ciò che è accaduto dopo l’uscita di quel primo titolo sugli “spigolatori” odierni.
Parallelamente dà il via, nel 2003 ad una nuova attività di artista visiva, con una personale alla Biennale di Venezia.
Nel 2008 presenta alla sessantacinquesima mostra veneziana il nuovo film, Les plages d’Agnès, un singolarissimo autoritratto in cui, ripercorre le tappe salienti del proprio percorso umano e artistico, intrecciandole ad attimi di vita trascorsi insieme al marito Jacques Demy, cineasta francese scomparso nel 1990, figura un po’ laterale rispetto alla Nouvelle Vague, ma che si è sempre distinto per libertà e originalità espressive (Lola – Donna di vita, Les parapluies de Cherbourg, per citare I titoli più noti).
Fautrice di un cinema rigorosamente indipendente, grazie anche alla sua stessa casa di produzione e distribuzione tuttora attiva, Agnès Varda ha anche saputo promuovere e valorizzare l’opera di Jacques Demy, oltre alla propria, restaurandone i film.
Successivamente, nel 2010 dirige Agnès de ci de là Varda, una sorta di miniserie per la televisione, un progetto che nasce dalla volontà di raccogliere gli incontri della regista in due anni di viaggi, da Copacabana a Los Angeles fino a San Pietroburgo, per immortalare la vita e l’arte contemporanea (musei, esposizioni, gallerie, biennali), lasciando la parola agli artisti, come Soulages, Boltanski, Barceló e a cineasti come Manuel de Oliveira e Carlos Reygadas. Nel 2015 l’incontro con JR street photographer, che vive e lavora tra Parigi e New York, noto per i giganteschi graffiti urbani, l’equivalente francese di Bansky, dà vita ad un inedito documentario, Visages Villages. I due a bordo di un camion, si mettono in viaggio lungo la Francia odierna con l’intento, in ciascun luogo visitato, di creare giganteschi ritratti in bianco e nero, ma non soltanto, degli abitanti. Il film si direbbe riprendere idealmente il percorso intrapreso dalla regista in Les plages d’Agnès, il fare ritorno alle spiagge che hanno avuto un ruolo importante nella propria vita, per raccontarsi e andare indietro nel tempo. Anche se, nel caso di Visages Villages il vagabondaggio è in luoghi abbandonati o semplicemente dimenticati, ma può trattarsi invece di luoghi che testimoniano una realtà lavorativa, talvolta complessa, altre volte meno, a cui ridare volti e memoria. Cittadine apparentemente scelte a caso, dove tuttavia Varda e JR trovano nessi, connessioni, punti di contatto. Presentato fuori concorso all’ultima edizione del Festival di Cannes, Visages Villages, firmato a quattro mani da Agnès Varda e JR, ha ottenuto il premio “L’oeil d’Or” come migliore documentario.
L’11 novembre 2017 a Los Angeles, in occasione della nona edizione dell’Annual Governor’s Award, Varda ha ottenuto l’Oscar onorario, un tempo noto come Oscar alla carriera. L’abbiamo incontrata l’estate scorsa a Bologna nel corso della 31esima edizione del “Cinema Ritrovato” dove, insieme a JR, ha presentato in anteprima Visages Villages.