di Luisa Ceretto
Cercare il cinema fuori dal cinema, ad esempio, nella piazza centrale di un luogo storico come Bologna. Affidata all’estro creativo di Peter Greenaway , Piazza Maggiore è stata per otto giorni – dal 24 giugno al 1° luglio scorso – nell’ambito del progetto dedicato a Bologna capitale europea del 2000 – teatro di un evento multimediale. Immagini fisse ed in movimento sono state proiettate e diffuse sulle quattro facciate dei palazzi che ne delimitano il perimetro. Musica classica, rumori d’ambiente ed una voce fuori campo hanno accompagnato le proiezioni, queste ultime tutte provenienti da una torre posta al centro della piazza e costruita per l’occasione. Un light event della durata di circa venti minuti, ripetuto più volte ogni sera, nel corso del quale, attraverso date scelte tra le più significative, come ad esempio quella della fondazione dell’università del capoluogo emiliano, oppure quella invece relativa alla recente e drammatica strage alla stazione , viene riscritta la storia di Bologna.
Un gigantesco pennino luminoso si muove incessantemente sui muri della Basilica di San Petronio e sugli altri antichi palazzi tracciando in enormi caratteri gotici, onciali e notarili, i testi di ventuno storie apocrife dedicate alle torri che, insieme alle date e agli eventi storici elencati dalla “voce narrante” compongono un’unica partitura luminosa. E per restituire il passato della città che vanta il più antico ateneo, Greenaway traduce nell’immagine di una mano che scrive – quella di Brody Neuenschwander, colui che calligrafò il corpo della protagonista de I racconti del cuscino – l’idea della cultura nel suo farsi e della scrittura nel suo divenire storia. Trasformata in un affresco in movimento, la piazza diventa, dunque, l’opportunità per il regista inglese di inseguire, come egli stesso ha più volte affermato, le proprie ossessioni, in particolare,quella del multischermo che offre una pluralità di visioni. Portare il cinema fuori dalle sale, è l’imperativo greenawayano per tentare nuove modalità di fruizione; non più soltanto una visione frontale, ma al contrario, una modalità mobile, che preveda la molteplicità della visione. A tal proposito, ciascuna delle quattro facciate rappresenta uno schermo diverso su cui vengono proiettati molteplici frammenti di immagini. Per cogliere nell’interezza lo spettacolo, il pubblico deve muoversi, come per seguire lo scorrimento delle proiezioni, quasi fosse una pergamena che si srotola, lungo le facciate dei palazzi che si animano con le parole scritte e le immagini provenienti dall’archivio fotografico e cinematografico della Cineteca di Bologna. Il frequente richiamo a riproduzioni “fisse” di corpi morti, rimanda visivamente ad un immaginario ricorrente nel cinema di Greenaway. Strettamente connessa alla ricerca di una plurivisione, è quella di un testo non univoco che accompagna ormai da tempo la riflessione cinematografica dell’autore di Bologna Towers 2000. Secondo Greenaway, fino ad ora lo sviluppo del linguaggio filmico è stato fortemente condizionato dal cinema narrativo. La scelta di rendere duemila anni di storia cittadina attraverso storie apocrife, dove si intrecciano finzione, eventi realmente accaduti e humour, risponde, infatti, all’esigenza di un cinema che racconti per immagini e lasci allo spettatore la possibilità di letture diverse. Difficilmente paragonabile ad altri spettacoli se non, per certi versi, ai sons et lumières parigini, in particolare per la conseguente condensazione di eventi che vengono raccontati, Bologna Towers 2000 si colloca come un suggestivo esperimento cinematografico.