
TOTO LE HÉROS – UNA STORIA DI FINE MILLENNIO
“Che cosa succede nelle prime inquadrature di Toto le héros, il film d’esordio del belga Jaco Van Dormael? Uno sparo, un vetro infranto, il cadavere di un anziano riverso in una fontana… Ma chi è il morto? Non lo capiamo subito perché, come in Viale del tramonto di Billy Wilder, è proprio l’ucciso – magia del cinema! – a raccontare la sua vita in un lunghissimo flashback. Thomas, così si chiama, parte addirittura dalla culla: proprio a questo momento, a un furioso incendio che ha devastato l’ospedale in cui è nato, fa risalire l’episodio chiave della sua vita. […]” Luigi Paini, ‘Il Sole-24 Ore’
“Il film, provvisto di una personalità poetica non comune, libera dall’inconscio molti generi: ora si fa carino assai, magari con la complicità di una tenera canzone di Trenet, ora imita i cartoon, ora sparge una lacrima, ora fa le bizze come un ragazzino. Radiocronaca di un’esistenza mancata, trasmessa sulle onde del tempo che non ritorna, ‘Toto le héros’ è un film compiacente che, sovvenzionato dall’Europa, ha raccolto in Europa molti premi. Audace negli incastri temporali e nel profumo d’incesto, ‘Totò’ maltratta la memoria in modo divertente, con paranormale dolcezza e con paranormale rabbia. Gli attori che impersonano quest’uomo senza talento per la vita lo ricompongono come un puzzle: dai piccoli Thomas Godet e Harold Harrison al vecchio, irresistibile Michel Bouquet. Van Dormael, che ha lavorato tre anni partendo da sentimenti autobiografici, ripete col cinema una bella frase di Rimbaud: ‘Si diventa sempre come non si vorrebbe diventare, si finisce come non si vorrebbe mai finire’. Bravo!” Maurizio Porro, ‘Il Corriere della Sera’, 21 Marzo, 1992

“Toto le héros’ primo film lungo del belga Van Dormael (1957), ricostruisce a ritroso la vita di Thomas con una serie di sconnessioni temporali, come seguendo il flusso dei suoi ricordi in una catena di libere associazioni mentali e di intermittenze del cuore. Tre sono le stagioni che s’intrecciano, l’infanzia, l’età adulta, la senilità. E due i livelli narrativi: il reale e l’immaginario, perché Thomas, malinconico e vulnerabile perdente nella partita della vita, sogna di essere un audace e deciso agente segreto. L’io narrante del film è Thomas, ma la sua figura più emblematica è Alice, l’energica sorellina maggiore, di cui è perdutamente innamorato e che forse è la fonte o una delle fonti dell’ossessione dello scambio: un infantile espediente per rimuovere l’incesto, ma così tenace da persistere anche dopo la sua tragica morte, al punto che Thomas adulto la identificherà in Evelyne, la donna amata quando è già da tempo la moglie infelice dell’odiato e invidiato Alfred. La maggior ragione del fascino che ‘Toto le héros’ esercita e che l’ha reso uno dei film europei più premiati e ammirati del 1991 (non a Hollywood, però, dove non è entrato nella cinquina degli stranieri candidati all’Oscar) è di essere una storia sotto il segno della morte, ma sorvegliata dagli angeli custodi di un’allegra ironia e di un bizzarro umorismo, molto fiammingo anche nei suoi estri surreali, umorismo che si manifesta pure nell’insolito finale quando, dopo la cremazione, Thomas, finalmente placato e ilare, scende dal cielo in forma di cenere sul mondo con cui si è riconciliato.” Morando Morandini, ‘Il Giorno’, 26 Marzo 1992
“Tutto percorso dalle note leggiadre della canzone ‘Boum’ cantata da Charles Trenet, divertente e sotterraneamente angoscioso come certi sogni, ‘Toto le héros’ mescola in maniera agile generi e atmosfere correndo avanti e indietro sulla tastiera del tempo. Lo stile è composito e bizzarro nel gusto caratteristico della cultura fiamminga, ma il tema di fondo, semplice e universale, coinvolge la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Thomas vecchio, che rievoca il suo passato meditando una vendetta che non consumerà, è lo splendido attore francese Michel Bouquet che porta nel personaggio tutta la sua autorevolezza di grande interprete molièriano. Quanto all’autore della tragicommedia, è un ex clown di soli trentaquattro anni, che ha dimostrato di saper usare assai bene le chiavi per penetrare nel territorio del surreale e della poesia.” Alessandra Levantesi, ‘La Stampa’, 21 Marzo 1992

L’OTTAVO GIORNO
“Jaco Van Dormael riesce a far sembrare Rain Man un film sobrio e rude come un poliziesco dell’ispettore Callaghan. Edulcorando tutto ciò che un secolo di cinema ha saputo rappresentare sull’argomento, ricorrendo alle metafore buoniste più viete e inanellando non meno di cinque finali uno più edificante dell’altro, credeva di parlare dell’animo dello spettatore e si è esibito invece in un campionario da record ricattatorio”. “Il Mattino”, Valerio Caprara, 7/10/96
MR. NOBODY
“Nel 2092, l’ultimo essere umano “mortale” della Terra è prossimo alla fine. E’ Nemo Nobody, quasi 120 anni, chiamato a ripercorrere attraverso il ricordo/i ricordi, la propria esistenza. Che non è stata solamente una, ma un insieme sovrapposto di differenti infanzie, adoloscenze e vite adulte, di amori (Anna, Elise e Jean), momenti felici, eventi tragici, morti e rinascite. Conseguenze di una scelta impossibile (a 9 anni, sulla banchina di una stazione, Nemo deve decidere se prendere il treno che porta via la madre o rimanere lì con il padre), impossibilità di prevedere le reazioni per ogni singola azione, ognuna delle sue esperienze meriterà di essere vissuta. Ancora una volta, mai e per sempre.

Potente e suggestiva riflessione sullo scorrere del tempo, ambizioso affresco filmico sulle infinite possibilità che contraddistinguono ogni singola esistenza, amaro apologo metalinguistico sulla finitudine e l’inevitabile dolore che accompagna le scelte nel corso di una vita: uno, nessuno e centomila, Mr. Nobody di Jaco Van Dormael – stasera in Concorso al Lido – è tutto questo, affabulazione più, ridondanza meno. Perché il nuovo film scritto e diretto dal regista belga (lavorazione travagliatissima, coproduzione europea con budget stimato intorno ai 60 milioni di dollari per una prima versione che prevedeva oltre tre ore di lunghezza), tornato al cinema tredici anni dopo L’ottavo giorno, ha dalla sua il prestigio di intrecci e situazioni visive care al “Kaufman touch”, ma alla fine rischia di girare troppo a vuoto, ripetendo un percorso che sfonda le barriere della narrazione per approdare – cullato da una colonna sonora al limite dell’”over phoning” (dalla Casta Diva della Callas al solito Satie, passando per il Pavane di Fauré e Where is My Mind dei Pixies) – nei sintetici lidi del loop.
Un’opera complessa, irrisolta ed emozionante, sorretta dall’interpretazione totale di un Jared Leto sofferto e trattenuto, circondato da un “parterre de femmes” di prim’ordine: la disturbata Sarah Polley, l’innamorata Diane Kruger, l’algida Linh-Dan Pham”Valerio Sammarco, “Rivista del cinematografo”.
DIO ESISTE E VIVE A BRUXELLES

“Dal talento surreale un po’ sprecato del belga Van Dormael, il Testamento contemporaneo di Benoît Poelvoorde, un nuovo de Funès, che brucia la miccia nell’ottima partenza annullata poi in exploit di buonismo retorico fino al finale su spiaggia. Tutto carino e francese , ma l’idea di base di ‘Dio esiste e vive a Bruxelles’ poteva atterrare su un soggetto irriverente alla Buñuel invece che sulla commediola a facile scadenza.”
Maurizio Porro, ‘Corriere della Sera’, 26 novembre 2015
“(…) una strana combriccola. Che il regista manovra con il divertimento a volte un po’ facile del grande burattinaio che reinventa il mondo a proprio piacimento. Come il narratore onnisciente dei romanzi ottocenteschi (in fondo è lui, Dio). Ma con una tale profusione di gag, paradossi, trovate, che si passa volentieri sopra certi passaggi dolciastri per lasciarsi trasportare in questo mondo in cui ogni cosa può rovesciarsi nel suo contrario (…). Qualcuno storcerà il naso per il gusto sempre molto pop, evidente nella colonna sonora. Ogni apostolo ha infatti la sua ‘piccola musica’ interiore, e sono sempre brani celebri, da Haendel a Trenet. Ma il bello di Van Dormael è anche nella ricchezza di linguaggio (luci, voci, inquadrature: il risultato è semplice, il percorso meno) con cui piega questo gusto da supermercato al piacere di un film, come si diceva una volta, davvero per tutti.” Fabio Ferzetti, ‘Il Messaggero’, 26 novembre 2015
“È un film stupefacente, pieno di trovate e di gag, con un tema altissimo e un sottotesto profondo e dolente, insomma è quasi un capolavoro, e usiamo il ‘quasi’ solo per prudenza. Immaginate una versione meno snob di ‘Il favoloso mondo di Amélie’ arricchita dall’umorismo cosmico dei fratelli Coen, con il copione riveduto da Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di ‘Se mi lasci ti cancello’ e di altri film che mixano stili e piani narrativi in totale libertà. (…) ‘Dio esiste e vive a Bruxelles’ dura 113 minuti e contiene come minimo 113 idee folgoranti: non c’è una sequenza nella quale Van Dormael e il suo sceneggiatore Thomas Gunzig non si inventino qualcosa, dal pentodi vista visivo e da quello narrativo. (…) Il film di Van Dormael, nella sua apparenza spensierata e a tratti fragorosamente spassosa, descrive un universo parallelo nel quale gli apostoli diventano 18 e le regole vengono rovesciate nell’opposto di se stesse. Vedendolo vi divertirete, ma poi vi ritroverete alle prese con mille domande dalle risposte assai difficili.”Alberto Crespi, ‘L’Unità’, 26 novembre 2015

“Folle, dissacrante come raramente si possa concepire un film, onirico e con momenti di comicità irresistibile, ‘Le tout noveau testament’ (nel titolo originale) ha rappresentato una delle poche occasioni d’intelligente ilarità all’ultimo Festival di Cannes (…). Da vedere, senza esitazioni.” Anna Maria Pasetti, ‘Il Fatto Quotidiano’, 26 novembre 2015
“Diciamo subito a chi non piacerà. A chi crede seriamente e quindi farà fatica a digerire una divinità trattata alla stregua di un cialtrone di Luna Park. Ai laicisti ad oltranza per il quale la favola ribalda messa in scena da Van Dormael è un modo comunque, anche se un po’ contorto, di ribadire l’esistenza della divinità (insomma Jacop ci fa la figura del credente). Non piacerà infine a chi al termine di una satira a ruota libera s’attende (legittimamente) conclusioni di qualche spessore intellettuale (la svolta femminista del finale non ha logica, non ha rigore, è solo trippa di gatto buttata nel gran calderone). Ma c’è pure un pubblico che al cinema non va appesantito da bigottismi di vario tipo, e che non chiede (almeno non chiede ogni settimana) il rigore. A quel pubblico, certo, non mancheranno le occasioni di divertimento nelle quasi due ore. (…) Benoît Poelvoorde, un altro grosso attore del cinema franco belga che in Italia non è ancora conosciuto come dovrebbe (se non dai frequentatori di festival) e che ora un film come ‘Dio esiste e vive a Bruxelles’ dovrebbe imporre come merita. Il suo Padreterno è decisamente indimenticabile, meschino, maligno, velenoso come solo i paterfamilias della provincia francese sanno essere. Per concludere, il siparietto dell’icona per eccellenza del cinema d’oltralpe, Catherine Deneuve. Van Dormael l’ha costretta ad accoppiarsi con un gorilla. Per noi l’ha fatto con dolo.” Giorgio Carbone, ‘Libero’, 26 novembre 2015

“Strepitosa commedia surreale in sei atti del belga Jaco Van Dormael, un talento quasi sempre in letargo. (…) Uno spasso continuo, in cui entra anche la Deneuve, costretta dal perfido copione a tenersi per amante un enorme gorilla.” Massimo Bertarelli, ‘Il Giornale’, 26 novembre 2015