MARK COUSINS SUL CINEMA 

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“Se un alieno venisse sulla Terra per scoprire la grandiosità del cinema e dovesse scegliere tra cinque film, gli raccomanderei come primo un film giapponese The Insect Woman di Imamura, è uno dei suoi migliori titoli, sulla forza d’animo umana, il secondo che suggerirei all’alieno arrivato sulla Terra è un film iraniano,  A moment of innocence, la storia di un uomo senza soldi, nell’Iran del 1990, un film che narra i ricorsi storici . Il terzo è un film italiano,  Il conformista di Bernardo Bertolucci aveva solo ventinove anni quando lo ha girato, era proprio giovane, un meraviglioso film barocco. Il quarto film che suggerisco è americano, L’Appartamento di Billy Wilder racconta la natura dolce e amara dell’amore. Se l’alieno è stato innamorato riconosce, qui, l’amore. Il quinto film che sceglierei è un corto di tre minuti diretto da una donna, Margaret Tait su sua madre, la inquadra mentre mangia una caramella, c’è solo la bellezza del suo viso, intenso come un ritratto di Rembrandt.”

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Margaret Tait, A portrait of Ga, 1952

“Per me le immagini sono come una piscina in cui mi immergo, a volte mi sembra quasi di annegare. In tutte le immagini c’è qualcosa al di là della facciata, sono sempre profonde. Per questo le amo così tanto”.

“Le prime storie del cinema ritenevano, comprensibilmente, che i più grandi registi fossero quelli che spingevano al massimo il montaggio, il fuoco, la composizione, la fotografia, i movimenti di macchina. Dopo la Seconda guerra mondiale critici come André Bazin rifiutarono questa idea, proponendo che il cinema realista, generato da posizioni e presupposti seri, fosse quello di maggior valore. Quindi negli anni Cinquanta si ebbe la teoria di Alexandre Astruc, che affermava che il valore di un film si dovesse derivare da quanto fosse capace di riflettere la visione della vita del suo regista. Astruc enfatizzò questa idea paragonando la macchina da presa alla penna di un romanziere. Infine, negli anni Sessanta e Settanta i critici con un amore per la filosofia iniziarono a vedere in Dreyer, Ozu, Bresson e Antonioni l’essenza dell’aspetto più astratto o metafisico del cinema.”

“Il medium del cinema si è schiantato contro le vite degli occidentali al termine del XIX secolo come un bambino precoce, capriccioso e insaziabile. Aveva la struggente e bellissima fiducia di un oggetto senza storia. Poi, con il passare dei tardi anni Dieci, degli anni Venti e degli anni Trenta, con tentativi e fallimenti, intuizioni accettate o dimenticate, il cinema iniziò a sviluppare la propria storia, di cui è fatto questo libro. Guardandosi alle spalle scoprì di avere pionieri e figure leggendarie, e divenne ambivalente rispetto al proprio passato. Alcuni registi vi si affezionarono troppo e si affidarono a ciò che conoscevano. Altri – ad esempio negli anni Sessanta e Novanta – sentirono che il medium che attraversava la macchina da presa a ventiquattro fotogrammi al secondo iniziava a sembrare vecchio.”

 “Credo appassionatamente al fatto che il cinema sia guidato dalle idee che ne costituisce il carburante.”

Forse guardiamo troppe cose, questo tipo di sguardo sta sostituendo altri generi di esperienze vitali, più naturali o capaci di arricchirci? Le nuove scoperte riguardanti la neuroplasticità sembrerebbero indicare che chi ha usato gli smartphone a partire dalla preadolescenza e che, grazie alla fibra ottica e ai satelliti, ha una sensazione più limitata dell’altrove, stia subendo dei mutamenti celebrali. Se ciò fosse vero si tratterebbe di una notizia preoccupante, forse, ma probabilmente è troppo presto per fare valutazioni del genere e gli interessati dovrebbero cercare di non abbandonarsi a millenarie fobie legate allo sguardo. Sì, c’è un’inondazione in corso; sì, vediamo nei modi più svariati, come mai prima d’ora, ma si tratta di un cambiamento anche tipologico? Il vedere così tante cose minaccia le nostre coscienze o le innalza a un nuovo livello?

Die Lady Von Shanghai   Lady From Shanghai, The   Orson Welles, Rita Hayworth *** Local Caption *** 1947  --

A proposito di Lo sguardo di Orson Welles

“Non volevo fare un film su Orson Welles. Quando ho visto i suoi film per la prima volta, mi sono sembrati come antiche querce o gigantesche gru. Li ho amati, ovviamente, ma quando sono diventato un regista ho pensato che non avrei avuto più nulla da dire a proposito. Ci sono molti documentari su Welles e decine di libri. È un regista canonico. Nel mio lavoro ho cercato di guardare più al cinema africano o indiano rispetto ai film americani: Guru Dutt, piuttosto che Orson Welles (anche se hanno molto in comune). Ma poi ho sentito che esistevano ancora molti disegni e dipinti di Welles. Ero incuriosito. Mi piace il concetto del ‘tempo libero’ dedicato agli schizzi, al prendersi del tempo sbarazzandosi dello stress concentrandosi su altro. Gran parte del mio lavoro negli ultimi anni si è occupato dello sguardo. Forse queste opere di Welles potrebbero aiutarmi a capire come lui guardava? “

“Guardo molti documentari di arte in TV, e mi piacciono, dal momento che Lo sguardo di Orson Welles è stato pensato per il cinema (così come per la TV), ho voluto evitare di usare gli archetipi televisivi, come quello del presentatore. Troppo spesso ho avuto la sensazione che fossero d’intralcio. Valuto quello che hanno da dire ma non ho il bisogno di mostrarli mentre parlano. Avevo necessità, allo stesso tempo, di essere più innovativo nella scrittura del film, così ho deciso di costruire l’intera sceneggiatura come una lettera ad Orson Welles piuttosto come una presentazione al pubblico. Con una lettera lo spettatore potrebbe, forse, spero, avere la sensazione di stare origliando. E le lettere hanno, per questo motivo, un altro tono e un altro tipo di intimità, registro e sentimenti.”

A proposito di Women Making Film: A New Road Movie Through Cinema

“Sono molto arrabbiato per il fatto che molte storie del cinema siano scritte da uomini bianchi anglosassoni, che offrono una visione non corretta e sono irriguardosi verso cineasti provenienti dall’Africa, Asia, e dall’emisfero meridionale e nei confronti delle registe donne. Per me era giusto riparare a questo torto, pur non ritenendomi, un ribelle. Il mio desiderio era quello che il cinema fosse valutato correttamente.”

“Molti film sul cinema parlano solo di registi uomini, quindi questo è una sorta di repost. È una scuola di cinema in cui tutti gli insegnanti sono donne. C’è molta ignoranza e miopia riguardo alle donne registe. Il nostro film vuole combattere con coraggio questa miopia.”

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